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Amartya Sen, premio Nobel 1998 per l’economia: non si vive di solo PIL

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"Per la crescita del Paese aumentiamo la qualità della vita e non lasciamo a sè stesso il libero mercato"

Una sala convegni gremita all’inverosimile, tanto che una buona parte del pubblico rimane addirittura senza cuffiette per la traduzione simultanea. D’altronde, l’evento clou dell’ultima giornata del Forum PA 2010 è di quelli da non perdere per nessun motivo: una lectio magistralis di Amartya Sen (Santiniketan, 3 novembre 1933), l’economista indiano, premio Nobel nel 1998, che con i suoi studi ha cercato di restituire all’essere umano quella dignità messa a dura prova da un sistema finalizzato esclusivamente all’accumulazione del profitto. Non più quindi l’aumento del pil come unico parametro della crescita di un paese o di una comunità, bensì una valutazione in cui diventa centrale il miglioramento della qualità della vita. Qualità della vita misurata
non soltanto come quantità di ricchezza materiale pro-capite, potere d’acquisto e capacità di consumo, ma
soprattutto in funzione della possibilità per l’individuo di vivere esperienze o situazioni da lui scelte a cui attribuisce un valore positivo. La realizzazione di una società orientata verso tali valori dipende direttamente dall’equilibrio che si riesce a raggiungere tra libero mercato e intervento dello Stato. E ora diamo la parola al Nobel…
Crisi e deregulation
 “La fede cieca nella capacità del mercato di autoregolamentarsi, in alcune fasi può portare a veri e propri collassi di sistema. L’attuale crisi ha origine nella grande disponibilità di credito e di liquidità immessa nel sistema finanziario mondiale dalla massiccia crescita dell’economia cinese. Una disponibilità che ha indotto le grandi banche d’investimento ad offrire prodotti sempre più rischiosi e sempre meno controllati.
Basti pensare che negli Usa, sotto l’amministrazione Clinton, è stato eliminato il controllo dello stato sulle assicurazioni destinate a coprire i rischi dei prodotti finanziari”.
Il ruolo dello stato e la rilettura di Adam Smith
“Adam Smith, secondo la vulgata, è il profeta del libero mercato lasciato a se stesso. Probabilmente molti lo citano avendolo letto in modo parziale e superficiale. Sebbene la sua più nota opera, Della ricchezza
delle nazioni, sia del 1759, già allora Smith poneva l’accento sull’importanza del ruolo regolatore dello Stato in economia. Viene sempre ricordato il passaggio in cui parla di ‘mani invisibili’ che agiscono garantendo automaticamente gli equilibri dei mercati; ma stranamente viene regolarmente ignorata un’altra parte in cui l’autore scrive testualmente ‘Gli interventi dello stato a favore dei lavoratori sono sempre giusti; quelli a favore dei padroni spesso possono essere sbagliati’. Evidentemente, in Smith esiste una visione molto più
ampia di quanto non gli venga tradizionalmente attribuito, che pone l’accento sul ruolo dello Stato nel perseguire e tutelare gli interessi della collettività e dei lavoratori in un’ottica di welfare che il privato da solo non può e non riesce a garantire”.
Amministratori pubblici e giustizia sociale
“Il compito degli amministratori pubblici è proprio quello di perseguire la giustizia sociale e di intervenire per garantirla. Fin quando il mercato è caratterizzato da un clima positivo, la fiducia in un banchiere vale l’oro e l’argento. Ma quando domina la sfiducia, nessuno investe più volentieri, i titoli diventano carta straccia, e nell’attuale sistema economico globalizzato si genera un effetto domino. È quello che è appena accaduto con i titoli del debito pubblico greci. La crisi si ripercuote più o meno pesantemente sulle condizioni di vita della popolazione in funzione dei tassi di crescita del pil che l’accompagna. Negli Usa, o in India, dove il tasso di crescita è più elevato, gli effetti della crisi vengono ammortizzati. Basti pensare che in presenza di un tasso di crescita dell’8% le entrate fiscali dello stato aumentano del 10%. Dove la crescita è minima o nulla, il pubblico amministratore è costretto a operare tagli di spesa, proprio mentre è costretto a indebitarsi più pesantemente per offrire tassi di interesse sempre più alti e invogliare gli investitori a comprare titoli dello stato per finanziare il deficit. È fondamentale che i tagli non siano indiscriminati, per evitare di colpire le fasce più deboli della popolazione. In un quadro del genere, il ruolo di supporto degli organismi sovranazionali è decisivo. Davanti a un problema globale, la risposta non può che essere sovranazionale. Ben venga quindi l’allargamento dal G8 al G20, perché, come ebbe a dire Martin Luther King: ‘L’ingiustizia in un paese è una minaccia per la giustizia di tutti i paesi’”.

Enrico Orsingher
 
fonte: il Giornale INPDAP, giugno 2010