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Prassi contabile Italiana vs Principi IAS/IFRS: principali differenze fra criteri di valutazione in bilancio

La prassi contabile italiana assumeva come criterio principe per la valutazione degli asset patrimoniali l’approccio del costo storico, ossia il prezzo originario della transazione comprensivo di eventuali proventi ed oneri accessori direttamente imputabili alla stessa. L’utilizzo della suddetta metodologia faceva si che il patrimonio aziendale non riflettesse  le sue possibili variazioni incrementative non rendendosi di fatto idoneo a fornire una visione in chiave prospettica dell’impresa. Nell’attuale prassi contabile internazionale IAS/IFRS (recepita in Italia con D.Lgs n° 38 del 2005) invece sono ammesse nella valutazione degli asset patrimoniali rivalutazioni e svalutazioni rispetto al valore originario della transazione. Ciò rende possibile la rilevazione di utili e perdite derivanti da sole variazioni di valore intervenute nell’esercizio utili per assumere decisioni in campo economico (sebbene più incerte e volatili). Ciò ha determinato il passaggio da una configurazione Zappiana di reddito prodotto “nello scambio e per lo scambio” ad una di “reddito potenzialmente prodotto” che vede il concorso alla formazione del reddito anche ad utili attesi relativi ad operazioni che ancora non hanno completato il loro ciclo economico. In tal modo la rilevazione dei componenti economici si sposta dal momento in cui lo scambio ha luogo sul mercato, al momento in cui esso potrebbe essere attuato. E’ per questo che il reddito potenzialmente prodotto spesso viene identificato con il concetto di “comprehensive income“ che la dottrina anglosassone riconduce ad un risultato di periodo nel quale confluiscono anche componenti di carattere meramente valutativo.

Il maggior pericolo di tale cambiamento è da sempre stato ricondotto alla possibilità di intaccare l’integrità economica del capitale MA, ad un’attenta valutazione è possibile rilevare come il principio della prudenza (che ha guidato a lungo le decisioni nella prassi contabile nostrana) non venga negato, anzi, sia meglio specificato e quindi più correttamente applicato nei principi contabili internazionali. Tale impostazione prevede infatti, per la maggioranza degli elementi patrimoniali valutati al valore di mercato (fair value), che le variazioni positive derivanti da adeguamenti di valore, siano imputate in una riserva di patrimonio netto e vi restino accantonate sino a quando il saldo della rivalutazione non venga effettivamente realizzato. Solo gli Standard che disciplinano la realizzazione probabile e attendibilmente determinabile di componenti reddituali dispongono di imputare direttamente a conto economico le variazioni di fair value (ex: attività e passività detenute per la negoziazione). Ciò trova ulteriore conferma nella logica sottesa alla quantificazione delle perdite presunte; con il criterio del fair value tali perdite si rilevano contabilmente ogniqualvolta il valore corrente di un elemento patrimoniale attivo o passivo sia inferiore o superiore a quello precedentemente iscritto in bilancio, nella prassi contabile italiana invece è necessario accertare che si sia verificata una perdita durevole di valore che, contabilizzata mediante una svalutazione, esprima l’irrecuperabilità del valore netto contabile dell’elemento patrimoniale.
Dott.ssa Valeria Ponis