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5 per mille: Elenchi dei soggetti che hanno chiesto di accederne

Sono resi pubblici gli elenchi dei soggetti che hanno chiesto di accedere al beneficio del 5 per mille per l’esercizio finanziario 2010 (anno d’imposta 2009).

Gli elenchi riguardano: Enti del Volontariato, Enti della ricerca scientifica e del’Università, Enti della Ricerca Sanitaria, Associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI ai fini sportivi, che svolgono una rilevante attività di carattere sociale.

Vai agli elenchi

Fisco: La scelta 5 e 8 per mille si può fare online

In rete, sul sito dell'Agenzia delle Entrate, il software Scelte 2010, che permette ai contribuenti esonerati dalla presentazione della dichiarazione dei redditi di compilare il modello relativo alla scelta del cinque e dell'otto per mille della propria Irpef e creare il relativo file da inviare telematicamente all'Amministrazione finanziaria.

Agevolazioni fiscali per le erogazioni alle organizzazioni no profit: cultura, sport, istruzione, ricerca scientifica

Panoramica su detrazioni e deduzioni previste per i “benefattori” all’interno del modello 730/2010 proposta dall'agenzia delle entrate per chi fa erogazioni liberali in favore delle Organizzazioni del no profit, della cultura, dello sport, dell’istruzione e della ricerca scientifica. Due le strade offerte, in base al tipo di erogazione, o la detrazione del 19% dall’Irpef o la deduzione dal reddito complessivo delle somme versate. Per le Onlus, le associazioni di promozione sociale e le fondazioni e associazioni riconosciute operanti nel settore artistico e culturale, invece, si può scegliere tra detrazione o deduzione.

Guarda come compilare le sezioni del  730/2010

Analisi di Borsa settimana 10/14 maggio e Previsioni

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Al termine di una settimana iniziata con un violento quanto isterico rimbalzo di oltre 12 punti percentuali la Borsa si ritrova al punto di partenza, o quasi. Il -5,26% di venerdì 14 ha riportato l’indice sotto la linea dei 20.000 punti, con tutti i problemi che esso comporta ovvero la presenza di una resistenza e non più di un supporto sulla suddetta linea. Ma ormai non ha molto senso esaminare le borse dal punto di vista grafico, tanto che la scorsa settimana non ne ho pubblicato alcuno, dal momento che le decisioni di politica economica sono i veri fattori condizionanti. I mercati si sono avvitati su se stessi, basta una parola di qualche funzionario della BCE, il commento di qualche eminente economista, le “voci” incontrollate provenienti da questo o quel centro studi o agenzia di rating e la Borsa sale o scende di migliaia di punti. L’indice Vix, detto anche “indice della paura” ha superato i 50 punti, un livello mai visto.

Le decisioni dell’Eurogruppo non hanno certo contribuito a rasserenare l’orizzonte, in fondo cosa hanno deciso? Acquistare 1000 miliardi di euro di titoli pubblici dei paesi in difficoltà difendendo così le loro economie e l’euro. Le iniziative draconiane dei singoli stati per ridurre i loro deficit faranno il resto.
Ma ci può essere qualcuno che crede nell’efficacia di queste misure?
Prendiamo ad esempio la difesa dell’euro. A cosa serve un euro forte? A pagare meno il petrolio. Stop. Certo non è poco, visto che la maggior parte dei trasporti sono su gomma e influenzano il costo delle merci. Ma quanto effettivamente influisce il prezzo del petrolio sul costo della benzina? In questi giorni assistiamo ad un “mistero buffo”: il prezzo del petrolio è a circa 75$ e la benzina costa quasi quanto costava con il petrolio a 150$. Qualcuno me lo sa spiegare?
La barricata innalzata a difesa dell’euro sembra più di natura politica che di natura economica, l’euro è l’ultima cosa rimasta ad unire parte di questa traballante unione europea, quindi viene difeso solo a scopo di immagine. Questo catenaccio però costa caro ed è addirittura controproducente.
Vi ricordate quando a fine 2000 l’euro era arrivato a valere 0,82$? Da allora si è costantemente apprezzato fino ad arrivare ad inizio del 2009 fin quasi 1,6$. Perché l’economia europea è diventata improvvisamente più forte di quella americana? No, semplicemente perché gli americani per far ripartire la loro economia, dopo i disastri dell’11 settembre e dei mutui subprime, hanno lasciato cadere la loro moneta senza fare barricate. Ora che la loro economia è ripartita e viaggia a ritmi del 3,5% annuo, con conseguente creazione di nuovi posti di lavoro, il dollaro si sta riapprezzando fino a riagganciare, presumibilmente, la parità con l’euro. E questo, per loro, potrebbe essere un problema. Non a caso in questi giorni il Presidente Obama si spende in incoraggiamenti all’Unione Europea nella difesa dell’euro, spingendosi nientemeno in promesse di interventi in suo aiuto. Gli Obama-fan si sono liquefatti: quanto è bravo Obama! Quanto è buono Obama! Si preoccupa anche di noi Obama…! Io molto più prosaicamente dico: quanto è furbo Obama! Un dollaro forte creerebbe seri problemi alle esportazioni americane con conseguenze negative prima di tutto sull’occupazione.
Già, in questo gli americani ci danno una gran bella lezione. Alla difesa dell’immagine del dollaro antepongono la difesa e la creazione di posti di lavoro. Che insegnamento!

Qui invece si fa il contrario, per difendere una moneta che non ha più alcuna ragione per essere superiore al dollaro si varano misure che strangoleranno ancora di più l’economia, prima fra tutte la decurtazione degli stipendi agli impiegati statali. Come può esistere qualcuno che pensi che con un minor reddito le persone spendano di più? E i nuovi posti di lavoro con che cosa si creeranno? Con i mille miliardi di carta straccia di debito sovrano che stanno acquistando?
E ancora, gli americani hanno forse tagliato gli stipendi della Pubblica Amministrazione per ripianare il deficit? Tutt’altro, nel momento del bisogno hanno addirittura stampato moneta per poi drenarla a emergenza conclusa. Al massimo Obama ha tagliato gli stipendi d’oro ai manager di Wall Street.
In Europa ancora non si è capito che la madre di tutte le emergenze non è il debito pubblico o il deficit o l’euro, è l’OCCUPAZIONE.

Ma intanto la strada dell’economia europea, prevista dai guru americani, è segnata: ci attendono almeno 7/8 mesi di deflazione a cui seguirà, per effetto di tardivi e scoordinati interventi, un lungo periodo di iperinflazione. A quel punto il cocktail letale della stagflazione sarà pronto e la prima vittima illustre sarà la pace sociale.
Visto che il panorama di un ‘29bis è ormai ben delineato i nostri governanti dovrebbero andarsi a rivedere le strategie che l’allora Presidente degli Stati Uniti Roosvelt mise in atto. Senza attendere che una nuova Grande Depressione si ripresenti in tutta la sua forza si può fare tesoro di quell’esperienza avviando un profondo piano di riforme economico-sociali VERE. In questi giorni invece assistiamo ad una passerella di politici, nostrani ed altrui, che esternano l’unica riforma che conoscono: quella delle pensioni. Non ho sentito alcuno proporre qualche altra cosa, sia esso di destra, di sinistra, di centro, italiano, straniero…
Poveri noi…in mano a chi stiamo. Ecco chi va a fare politica.
Pensano di risolvere il problema mandando le persone in pensione a 70 anni, gli unici effetti che provocano è uno scadimento della qualità del servizio, un caricamento sulle prestazioni sanitarie per patologie professionali e la mancanza di lavoro per i giovani. A nulla vale sapere che l’INPS è in attivo di 7 miliardi. Questa, poverini, è l’unica riforma che conoscono e se la strappano dalle mani per rivendicarne la paternità.
Ma c’è dell’altro in questi giorni di messaggi escatologici. In attesa della manovra da ben 1,5% del PIL un ministro ha proposto di tagliare del 5% gli stipendi ai parlamentari, preparando, con l’esempio, gli altri dipendenti pubblici ad altrettanto. Senonché un taglio del 5% ad uno stipendio di quasi 20.000€ al mese è risibile mentre su uno stipendio di 1200€ è drammatico. Ma non basta, lo stesso ministro ha dichiarato che ci sarà chi dovrà fare sacrifici ben maggiori del 5%. Anche un blocco dei rinnovi contrattuali, sopportabile in un periodo di recessione, sarebbe devastante se ripartisse l’inflazione.
Ma di questa situazione drammatica ben pochi si preoccupano. Il Potere ha messo in campo tutte le armi di “Distrazione di massa” in suo possesso: televisione, cinema, gossip, apparizioni, profezie, campionati di calcio, talk show, gratta e vinci ecc. ecc. Una volta il clima sociale italiano è stato salvato da Coppi e Bartali, oggi da Inter e Roma, la storia si ripete.

Ma tornando a Roosvelt, cosa fece di tanto “strano”? Semplicemente scardinò il circolo vizioso, riduzione dei consumi-disoccupazione, con grandi opere infrastrutturali. Basandosi sulle teorie dell’economista John Keynes stimolò quindi la domanda interna con l’aumento dell’occupazione convinto che anche il bilancio dello Stato, alla distanza, ne avrebbe giovato. Ma anche la sperimentazione economica, il supporto alla comunità scientifica, all’Università, alla Scuola, ebbero un effetto positivo sul superamento della crisi ridando fiducia nei giovani e nel futuro.

Ma in Europa di politici della statura di Roosvelt non se ne vede l’ombra. Anzi, a dire il vero, non si vedono proprio i politici e, a ben vedere, neanche gli economisti. Quelli che invece si vedono a frotte sono i ragionieri che davanti al loro bravo foglio da computisteria si toccano la punta del naso con i polpastrelli delle dita per fare i conti agli stati cosiddetti “sovrani”. E qui siamo arrivati veramente alla schizofrenia: è stato proposto di multare gli stati che hanno un debito pubblico eccessivo. Ovvero gli stati (che non hanno soldi) dovranno versare soldi per punizione. Questo equivale a curare il malato a bastonate, o no?

Mi permetto, sommessamente, di suggerire ai nostri governanti di spendere diversamente quei 1.000 miliardi di euro stanziati. Usateli per rilanciare grandi opere: strade, ferrovie, ospedali, porti, edilizia popolare, risanamento idro-geologico del territorio, ecc. ad iniziare magari proprio dalla Grecia e da altri stati in difficoltà. Aiutate quelle nazioni che non riescono a ripagare il debito solo per la parte che non riescono a coprire, esaminando di volta in volta le necessità e senza firmare assegni in bianco. Cacciate i ragionieri dal Tempio (Bruxelles) e fate entrare i politici, quelli veri, quelli che volano alto, quelli che vedono lontano come i padri fondatori dell’Europa.

E meditate su quella massima di John Keynes:” meglio pagare un uomo per scavare buche e ricoprirle che avere un disoccupato”.

Per quanto può valere diamo anche uno sguardo alla situazione grafica. L’indice è all’interno di un canale discendente che, per effetto dell’altissima volatilità, ha una forma strombata. Il livello di 18.846 punti raggiunti il 7 maggio rimane il punto di non ritorno, assodato che nel breve difficilmente l’indice andrà a toccare la parallela superiore del suddetto canale. Potrebbe tuttavia costituire un forte punto di rimbalzo, quindi un doppio minimo a 18.846 è probabile. Il fatto che il violento rialzo del 12, 37% di lunedì 10 maggio non sia stato completamente rimangiato nelle sedute successive fa accendere qualche speranza.



TRE NUOVE OBBLIGAZIONI ROYAL

RBS N.V. (rating S&P A+) quoterà da giovedì 13 maggio sul MOT di Borsa Italiana tre nuove obbligazioni Royal:


- VARIABILE MAX 6% cedole trimestrali, Euribor 3m + 1,80% annua, con un massimo del 6%, scadenza 05.05.2018, codice ISIN NL0009408970;

- OPERAZIONE 10%, cedole semestrali, 10% fisso per due anni e poi dal terzo al dodicesimo anno 10% meno 2 volte Euribor 6 mesi, scadenza 05.05.2022, codice ISIN NL0009408467;

- FOUR%, in Dollari, cedole trimestrali, 4% lorda all’anno, scadenza 07.05.2015, codice ISIN XS0502707853.

Vedi anche "Le ultime 4 obbligazioni RBS"

Borse: è destinato a durare il rialzo del 10 maggio?

La domanda che  circola maggiormente in queste ore dopo il balzo eccezionale di ieri registrato dalle Borse è quanto questo rialzo sia destinato a durare o a rivelarsi piuttosto un fuoco di paglia.

Tanto gli analisti di BlackRock quanto quelli del Credit Agricole  ritengono che il piano di salvataggio contribuirà a stabilizzare i mercati e avrà senza dubbio ricadute positive nel breve termine. Il problema però sarà verificare la capacità dei vari paesi europei di ridurre il loro deficit, e vedere se al contempo il piano garantirà un miglioramento sostenibile della fiducia.

A detta di ING non sono ancora stati sciolti tutti i nodi, senza dimenticare che restano da chiarire i dettagli e la tempistica del piano approvato durante il week-end. Un intervento definito coraggioso ed esaustivo da Citigroup, mentre secondo JP Morgan l'aggiustamento fiscale necessario non potrà essere sostituito nè dagli aiuti bilaterali nè dagli acquisti di bond da parte della BCE. Viene in particolare criticata quest'ultima mossa che apre le porte all'inflazione o all'iperinflazione, anche se un intervento in questo direzione si è reso inevitabile per assicurare liquidità al sistema bancario europeo.

Non diverse le indicazioni che arrivano dai colleghi di Centrosim che a proposito delle decisioni prese lo scorso week-end dall'Eurofin, parlano di iniziative sollecitate dal mercato già da tempo. L'idea è che le stesse dovrebbero contribuire ad allentare le tensioni vissute di recente, soprattutto sul comparto dei titoli finanziari che proprio quest'oggi sono stati i titoli maggiormente acquistati dagli investitori.

Infine, secondo Equita SIM dopo il piano di salvataggio è probabile che le politiche fiscali diventino più restrittive, specie nel sud Europa, e proprio qui si potrebbe avere un allentamento delle tensioni sui tassi.


Euro: per Ciampi fu un errore estenderlo a paesi deboli

Per Carlo Azeglio Ciampi, tra i fondatori dell'euro ed ex Presidente della Repubblica Italiana l'attuale crisi dell'Unione europea, scatenata dalla Grecia, si deve in parte al fatto che l'allargamento ad altri Paesi fu fatto con parametri troppo poco severi.

"Paghiamo il fatto che alcuni Paesi, tra cui la Grecia, sono entrati con parametri troppo poco severi", spiega Ciampi in un'intervista alla Stampa, definendo "un errore" l'ampliamento del numero dei Paesi entrati nella moneta unica.
"E' vero che l'istruttoria fu molto severa per il primo gruppo di Paesi candidati, compresi noi italiani, che dovemmo fare una delle manovre più dure della storia dal Dopoguerra per entrare nei requisiti richiesti dal sistema, e che invece al momento dell'allargamento ci fu meno severità: in questo senso non solo la Grecia ma anche altri Paesi era chiaro che entravano firmando una serie di obblighi che dovevano rispettare e di tappe successive che non hanno raggiunto", dice l'ex capo dello Stato.
"Proprio perché molti di noi dovettero affrontare sacrifici importanti, oggi dovremmo chiederci se sarebbe stato meglio non essere di manica larga. La risposta è senz'altro sì: il rigore avrebbe dovuto essere lo stesso per tutti", aggiunge Ciampi. "Sarebbe stato un rischio calcolato se insieme con l'euro fosse andato avanti il rafforzamento della collaborazione e del coordinamento in fatto di politiche economiche. Cosa che purtroppo non è avvenuta, con le conseguenze che vediamo".