L'avversione al rischio di perdere denaro è controllato da specifici circuiti all'interno dell'amigdala, una struttura cerebrale coinvolta nella gestione delle reazioni emotive e nei processi decisionali. A dimostrarlo è stato un gruppo di ricercatori del California Institute of Technology (Caltech) diretti dal ricercatore italiano Benedetto de Martino dell'University College di Londra, ma attualmente visiting professor al Caltech.
L'avversione alla perdita descrive l'evitamento di scelte che possono condurre a perdite, anche se accompagnate da un guadagno equivalente o superiore.
Come è illustrato in un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), i ricercatori hanno studiato questo comportamento in due pazienti la cui amigdala era fortemente danneggiata dalla progressione di una rara malattia genetica.
"L'avversione alla perdita di denaro è studiata nell'ambito dei comportamenti economici da un certo tempo, ma questa è la prima volta che sono stati individuati pazienti che ne mancano completamente", ha osservato de Martino.
Nel corso dello studio ai soggetti è stato chiesto se avrebbero accettato o meno una serie di scommesse in denaro, ciascuna con una possibile vincita o perdita: avrebbero accettato una scommessa in cui c'erano le stesse probabilità di vincere 20 dollari o di perdere 5 dollari (un rischio che la grande maggioranza dei soggetti normali accetta)? O un altra scommessa, sempre al 50 per cento di probabilità, in cui vincita e perdita fossero entrambe di 20 dollari (rifiutato dalla maggioranza delle persone)? E così via.
I risultati dei test hanno mostrato che i pazienti con amigdala danneggiata erano disposti ad assumersi rischi di gioco ben più elevati rispetto ai controlli.
"Pensiamo che ciò mostri che l'amigdala è critica nell'innescare un senso di cautela verso un gioco d'azzardo in cui si possa perdere", ha osservato Colin Camerer, che ha preso parte allo studio.
"E' possibile che l'amigdala controlli un meccanismo biologico molto generale volto a inibire comportamenti rischiosi quando gli esiti sono potenzialmente negativi", ha aggiunto De Martino.
De Martino e colleghi hanno anche controllato se, oltre a essere avversi alla perdita, i due pazienti fossero anche avversi al rischio, una condizione simile ma non identica alla prima, nella quale le persone sono poco propense ad assumere un rischio, anche se di fatto non rischiano nulla.
Nella nuova situazione le opzioni erano quelle di non giocare e incassare una certa cifra, o di giocare e ricevere una cifra doppia in caso di vincita oppure nulla in caso di perdita, ma in ogni caso senza alcuna perdita. In questo caso non si sono rilevate differenze nelle scelte fra i pazienti e i controlli, suggerendo che l'amigdala non controlla questo aspetto dell'assunzione del rischio e che i due processi sono effettivamente distinti. (gg)
Fonte: lescienze.espresso.repubblica.it