I Reits, acronimo di Real Estate Investment Trust, sono delle società quotate il cui fine istituzionale rappresenta l’acquisto di immobili destinati a produrre redditi da locazione.
Il modello è nato negli Stati Uniti mezzo secolo fa e progressivamente si sta estendendo nel resto del mondo. In Italia ad esempio sono state da poco introdotte le Siiq, società di investimento immobiliare quotate, che ad oggi non hanno riscosso gran successo: di fatto solo una, IGD, ha un minimo rilievo sul mercato.
Negli Stati Uniti al contrario la capitalizzazione di borsa del mercato Reits a fine 2008 ha raggiunto un intorno di 200 miliardi di dollari. Oggi considerando l’indice DJ US Reit, replicato da un etf di iShares quotato al Nyse dal 2000 ( IYR.P), la capitalizzazione del mercato è di 240 miliardi di dollari. Alcuni Reits sono esclusi dall’indice, in particolare quelli più piccoli come Glimcher che è arrivato a capitalizzare 200 milioni di dollari. Le oltre 70 società comprese nell’indice hanno una capitalizzazione che parte da 500 milioni sino a giganti come Simon Properties, il primo della lista con circa 20 miliardi di valore di borsa, od il secondo Vornado, 11 miliardi. Per capitalizzazione si intende il valore di borsa dell’equity, da non confondere con il valore di bilancio degli immobili, ben superiore per effetto del debito cui i Reits sono soliti ricorrere abbondantemente.
I risultati delle ultime trimestrali non sono particolarmente entusiasmanti rispetto alle attese anche se i Reits stanno decisamente tirando un sospiro di sollievo. Nei mesi passati nell’apice della crisi i molti Reits sono arrivati al limite della bancarotta a causa delle difficoltà a rifinanziare il debito in essere sia tramite le banche che il mercato.
In questi mesi gran parte dei Reits hanno dunque ricorso a massicce ricapitalizzazioni che da un lato hanno diluito le partecipazioni dei vecchi azionisti ma hanno evitato il fallimento di molte società reperendo i capitali necessari a far fronte ai debiti in scadenza. Le operazioni di raccolta che hanno avuto successo hanno fatto tornare la fiducia del mercato che ha apprezzato notevolmente il settore. Questa circostanza permette di ricorrere al debito più facilmente, sostenendo il recupero dei Reits, ammesso che gli attivi, ovvero gli immobili, continuino a fornire flussi stabili.
Gli affitti che rappresentano la principale fonte di ricavo e l’essenza stessa di un Reits stanno scendendo e si assiste ad un aumento dei tassi di vacancy, ovvero di sfitto, nelle zone di minore interesse, anche se secondo alcuni analisti il tasso di sfitto sembra aver arrestato la salita. Metà dei Reits USA ha alzato i target finanziari mentre un terzo li ha abbassati. Le previsioni non sono omogenee per i vari tipi di Reits: nel terzo trimestre i top-performer sono stati i Reits specializzati nella locazione di spazi di deposito (self-storage), in appartamenti, centri commerciali e uffici. I Reits non specializzati e quelli che basano la loro attività su hotel sono risultati i peggiori in termini di risultati trimestrali. Le previsioni per il futuro rispettano lo stesso ordine.
All’interno dell’indice DJ US Reits si trovano società fortemente diverse in termini di politica di bilancio. Il ricorso al debito è naturalmente elevato, nell’ordine dell’80% del valore dell’attivo, sino ad arrivare a casi limite come Forest City il cui debito è 12 volte la capitalizzazione di mercato. L’andamento del prezzo di borsa di questo Reit è estremamente volatile: dall’inizio della crisi al minimo ha perso oltre il 90% del valore, rimbalzando di oltre il 200% dal minimo. Proprio i timori relativi all’incapacità di reperire risorse finanziarie, ed il conseguente fallimento, hanno determinato variazioni così importanti.
Non tutti i Reits in borsa hanno un comportamento così volatile: Franklin Street ad esempio ha perso il 40% dell’apice al minimo, recuperando il 32%.
A Milano sono quotati diversi etf, specializzati per area geografica, la gran parte con specializzazione “dividend” ovvero i componenti pagano almeno il 2% di dividendo. I Reits per loro tipicità devono distribuire la gran parte dell’utile sottoforma di dividendo. Tra i più interessanti segnaliamo l’etf basato sull’indice globale FTSE EPRA/NAREIT Global Dividend+ (IWDP.MI). L’indice offre un’ottima diversificazione sia in termini di numero di componenti, ad oggi 182, che geografica. I Reits degli Stati Uniti pesano per il 37%, mentre Hong Kong il 19%. Il restante 43% è suddiviso tra 15 differenti paesi, tra i più importanti Australia, Regno Unito, Francia e Giappone.
I paesi asiatici mostrano forse le più interessanti opportunità di sviluppo nel lungo termine, anche se i prezzi, ad esempio ad Hong Kong, sono tornati ai massimi pre-crisi. L’indice da inizio anno ha registrato un incremento del 40% FTSE EPRA/NAREIT Asia Dividend+ (IASP.MI). Nella Cina continentale da gennaio si è iniziato a discutere l’introduzione di Reits disponibili agli investitori esteri per reperire nuove fonti finanziarie destinate allo sviluppo.
Anche l’area europea ha ottenuto un significativo apprezzamento, il cui indice FTSE EPRA/NAREIT Europe (IFEU.MI) è in rialzo del 32% da inizio anno.
La performance peggiore spetta all’indice USA FTSE EPRA/NAREIT US Dividend+ (IUSP.MI), in positivo di appena il 5% in euro da inizio anno.
I Reits statunitensi forse hanno ancora le migliori opportunità del settore per espandersi. La ripresa dell’economia e soprattutto la lenta e futura riduzione del tasso di disoccupazione, all’ultima rilevazione al 10,2% vicino ai massimi degli ultimi 40 anni raggiunti nell’82 (10,8%), potrà sostenere la ripresa di domanda di spazi.
Tutti gli etf considerati distribuiscono un dividendo trimestrale. Il dividend yield dell’etf globale oggi è sceso al 3,4% dal 6,6% del periodo estivo. Rendimento diminuito anche per l’etf sui Reits USA al 4,2%, ridotto dal 9% di inizio luglio quando l’indice era a -20% da inizio anno. Il grafico mostra l’andamento dei tre indici da inizio 2007, periodo pre crisi, rispetto al quale gli indici sono ancora fortemente negativi. Un andamento inaspettato per un settore ritenuto dai flussi stabili minacciati dal debito.
fonte:
NORISK