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Regulation of Securities, Markets, and Transactions: A Guide to the New Environment - Patrick S. Collins

This book provides a description about the various government regulations of securities, securities markets, and securities transactions. The book defines, describes, and explains U.S. securities regulation.   The book will be current as of the signing of the securities reform act (expected to be signed by President Obama in mid-2010).  Major parts within the book include: Regulation; Accounting and Auditing; Introduction to Notes; Notes; Sections of Public Laws; Sections of Codified Securities Laws; Organizations.   In addition, there will be an extensive reference section, glossary, and list of useful websites (by both name and function).

Summary
The ultimate guide to the current rules and regulations that govern the securities industry including amendments in 2010. Providing readers with expert coverage of domestic securities regulation, this book fills the need for coverage of securities regulations, defining, describing, and explaining everything professionals need to know about domestic securities regulation. Examines the current securities rules Provides an overview of the latest regulations for this industry. Includes a description of the various government regulations of securities markets, and securities transactions. Since the corporate scandals of 2002, this industry has seen intense scrutiny of how it is regulated. Regulation of Securities, Markets, and Transactions demystifies the new laws and regulations with straightforward, to-the-point coverage professionals need.

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Approximate Optimization Methods and Metaheuristics in Operational Research - Marc Pirlot; Jacques Teghem

In the last few decades, a number of powerful methods have been proposed to find satisfactory solutions to management problems of great importance in economies open to competition. They have been successfully applied to solve a large variety of operational problems both in the private and public sector, for example: production scheduling and sequencing, transportation, traffic management, distribution of goods and portfolio selection. The first half of this book presents an overview of these methods, while the second half focuses on applications. More precisely, it describes how to tailor heuristics to get the best results in a variety of selected typical problems.

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Agenti razionali e propensione al rischio: come testare l'emotività nelle scelte di investimento

TEST 1

Immaginate di aver effettuato uno studio sulla società Plastal, e di avere scoperto che le sue prospettive sono molto promettenti. Ne avete comperate 100.000 al prezzo di € 0,51 (totale 50 mila euro), ed ora, dopo sette giorni sono scese a 0.46 €. State perdendo il 10%!

A quale prezzo ora sareste disposti a rivenderle?

A – 0.49 €

B – 0.50 €

C – 0.51 €

D – 0.52 €

E – 0.54 €

Se avete risposto 0.51 o 0.52 potete tranquillizzarvi perché questa è la risposta della stragrande maggioranza dei piccoli investitori. Ora vorrei farvi una domanda di buon senso: qual è l’errore di fondo in questo tipo di reazione dell’investitore? Pensateci!

SOLUZIONE: L’investitore ha comperato le azioni sulla base delle prospettive della società, quindi secondo una logica fondamentale, perché si tratta di un buon affare. Ma quando vende, non pensa più alla società, alle sue potenzialità, alla sua dinamicità, ma pensa a se stesso, alla sua posizione in quell’operazione, vale a dire si preoccupa di non perdere. La sua operazione inizia con una logica, ma si conclude sulla spinta di un’altra logica: la logica di posizione! Il livello di uscita non è dato da un peggioramento dei conti della società, o da criteri fondamentali, ma è stabilito usando il metro di misura guadagno/perdita tipico della logica di posizione.

In teoria poteva entrare a 0.56 e uscire a 0.67, oppure entrare a 0.61 ed uscire a 0.72. La società stessa potrebbe valere 0.77 € ad azione ed essere fortemente sottovalutata, ma questo non interesserebbe più al nostro investitore, preoccupato com’è di non subire perdite!

Questo è un tipico errore di fondo: la logica di posizione è il meccanismo subdolo con cui la reazione psicologica dell’investitore si materializza in azioni concrete. Invece la logica di chiusura di un’operazione deve essere la stessa dell’apertura: non si possono cambiare i criteri di valutazione in corsa, non è corretto.

TEST 2

Immaginate di avere in portafoglio 4000 azioni Alambra acquistate un mese fa a 5 euro. Da due settimane circolano voci di un’importante acquisizione societaria da parte dell’Alambra, e da 5 sedute di Borsa la vostra azione realizza strappi positivi da 3 o 4 punti percentuali. Siete contentissimi, e pensate che il bello debba ancora venire. Avete in conto corrente ancora 50 mila euro liquidi investibili. Che cosa fate?

A – Comperate ancora azioni Alambra per 10 mila euro

B – Comperate ancora azioni Alambra per 20 mila euro

C – Comperate ancora azioni Alambra per 30 mila euro

D – Non fate proprio niente

E – Vendete tutte le azioni Alambra che possedete.

Chi ha risposto A oppure B sappia che si trova in buona compagnia, in quanto si tratta di una reazione frequente. Voglio tuttavia solleticare la vostra perspicacia nell’individuare dove si trova in questo caso l’errore di fondo dell’investitore.

SOLUZIONE: In questo caso la logica di posizione interviene all’inizio dell’operazione: state guadagnando bene, quindi vi sentite euforici e ci avete preso gusto; tanto più che anche in caso di perdita sareste protetti dai guadagni realizzati fino a quel momento. La posizione di vantaggio allenta le normali difese e fa diminuire la prudenza, così pensate di potervi permettere di rischiare di più, come in effetti succede. Anche qui la reazione psicologica si materializza sotto le mentite spoglie della logica di posizione.
Invece se l’operazione era iniziata con un determinato obiettivo, sulla base di una logica (fondamentale o tecnica) dovrebbe concludersi secondo gli stessi criteri, e non espandersi ulteriormente sulla semplice spinta emotiva.
Come avete visto, anche in situazioni molto semplici come quelle descritte, la psicologia dell’investitore esercita un’influenza determinante.
Fonte: http://www.teocollector.com/

Psicologia e Finanza: nuova indagine sull'assunto della razionalità ottimizzante

Molta della teoria economica e finanziaria è basata sull'assunto che gli individui agiscano in modo razionale e tenendo in considerazione tutte le informazioni disponibili. Tuttavia i ricercatori hanno scoperto che in moltissimi casi non succede proprio così.
Secondo Peter Bernstein, autore di Against the Gods, ci sono molte prove che rivelano modelli ripetuti di irrazionalità, incoerenza, e incompetenza nel modo in cui gli esseri umani arrivano a determinate decisioni e scelte quando devono affrontare l'incertezza.
La finanza comportamentale ha cercato proprio di migliorare la comprensione di questi processi e di spiegare come le emozioni e gli errori congnitivi possano influenzare gli investitori e il loro processo decisionale. Molti ricercatori ritengono che lo studio della psicologia e di altre scienze sociali possano mettere in discussione le ipotesi dell'efficienza dei mercati e, soprattutto, possano spiegare le anomalie, le bolle speculative e i crolli.
Per esempio alcuni ritengono che le migliori prestazioni ottenute dal value investing siano dovute all'eccessiva sicurezza degli investitori nell'acquistare le aziende in crescita e dal fatto che gli investitori traggano piacere e orgoglio dal possedere quel tipo di azioni.
Tutti noi investiamo denaro per avere più denaro. Le motivazioni possono essere differenti - una casa più grande, un'auto più bella, l'istruzione dei figli, la pensione - ma l'obiettivo di base è lo stesso per tutti.
Molti grandi studiosi hanno esaminato i mercati finanziari sperando di scoprire strategie di investimento che diano i migliori risultati. E quasi tutti hanno basato le loro teorie su un'ipotesi: che l'investitore agisca sempre in modo da massimizzare il rendimento del proprio investimento. Eppure una grande quantità di ricerche dimostra che gli investitori in realtà non sono sempre così razionali come queste teorie vorrebbero.
Gli studi di psicologia, per esempio, hanno ripetutamente dimostrato che il timore di perdere denaro con un investimento sbagliato è tre volte più grande del "piacere" che deriva dal guadagnare denaro con un investimento azzeccato. Piccole correzioni di mercato si sono spesso tradotte in ribassi molto consistenti, semplicemente perché sono state alimentate da un vero e proprio panico degli investitori che hanno venduto precipitosamente per non perdere denaro nel breve periodo, piuttosto che ragionare sulle potenzialità di lungo periodo di quell'investimento.
È quindi evidente che non tutte le scelte degli investitori sono fatte nell'interesse degli stessi. Se è vero che sentimenti quali la paura e l'avidità hanno spesso giocato un ruolo cruciale nelle decisioni, è anche vero che ci sono anche altre cause dei comportamenti irrazionali. Un errore mentale tipico porta spesso a valutare in modo non corretto nuove informazioni su una società quotata, e di conseguenza a valutarne male il valore intrinseco.
Il "behavioral finance", la finanza comportamentale, studia il modo in cui questi sentimenti ed errori mentali possono portare a errori di valutazione di azioni e obbligazioni, e ha portato alla formulazione di strategie di investimento che traggono profitto dai comportamenti irrazionali.
Esistono da tempo delle strategie di investimento che sfruttano le emozioni "della massa", ma la novità più importante e promettente della finanza comportamentale sta nella capacità di individuare gli errori mentali che vengono regolarmente commessi dagli investitori. Queste strategie non si limitano a esaminare i fondamentali delle società e il "sentiment" degli investitori. Tengono anche conto di come il cervello umano risolva i problemi e, in certi casi, sia più propenso a commettere un errore.
Vi siete mai trovati con dei titoli in portafoglio che hanno cominciato a salire tantissimo e talmente in fretta da farvi venire la tentazione di acquistarne ancora, per sfruttare il buon momento?
Se la risposta è sì allora siete degli investitori emotivi, proprio come la stragrande maggioranza delle persone comuni. Ma ci sono tanti tipi diversi di emotività, come tante sono anche le cause di fondo.
Quello che conta innanzitutto è il prenderne atto, l’esserne coscienti, e ciò andrà fatto con la più grande serenità e naturalezza possibile: d’altronde che colpa ne avete se avete paura quando perdete dei soldi o se siete euforici quando state guadagnando?nessuna!! Siamo degli esseri umani e questo tipo di reazioni fa parte della nostra natura.
L’altro aspetto importante è sapere che questo genere di risposta emotiva è modificabile e controllabile, fino a renderla decisamente ininfluente rispetto ai risultati delle operazioni. Per far questo ci viene incontro la psicoeconomia, che è quella disciplina che studia gli aspetti interconnessi tra psicologia (individuale e/o collettiva) ed economia (micro e macro), cercando di dare fondamento scientifico a quanto finora è stato trattato come materia agli estremi confini di entrambe le aree del sapere.
Ad oggi sembra che il futuro di molte aree di ricerca dello scibile umano sia proprio legato alle indagini di quelle zone chiaro-scure che coinvolgono due o più discipline. Se la società va verso una specializzazione spinta, resta il fatto che molti aspetti da studiare necessitino di un approccio interdisciplinare, che non sia tanto la semplice somma algebrica di due materie, quanto la loro fusione, al fine di far nascere qualcosa di totalmente nuovo.
Fonte: http://www.teocollector.com/

Tassi Interni di Trasferimento e Metodo della contribuzione a flussi lordi: un efficace sistema per la misurazione della creazione di valore in Banca

Se fosse possibile strutturare l’impresa in modo che ciascuna divisione/filiale  non abbia rapporti con le altre verrebbe meno il maggior problema che comporta la misurazione dei risultati economici per Centro di Responsabilità. Ma se così fosse svanirebbero anche i vantaggi derivanti dalla decentralizzazione, ovvero la possibilità di trarre vantaggio dalla divisione del lavoro e delle risorse, usufruendo di un elevato grado di integrazione. Tale decisione deve però essere adeguatamente supportata da un efficiente ed efficace sistema di tassi interni di trasferimento (e da un sistema di Internal Transfer Price, cdd. ITP, per valorizzare i trasferimenti dei servizi), ossia un sistema interno alla banca che astrattamente valorizzi i trasferimenti di risorse finanziarie da un Centro di Responsabilità all’altro tramite l’intermediazione di un centro fittizio (la cdd. Tesoreria) articolato in tanti pool quanti sono i tassi a scadenza della curva di mercato.

Esempio: in tal caso la curva dei tassi (generalmente la IRS) è composta da 14 scadenze. Idelamente quindi questa banca dovrebbe lavorare con 14 pool di Tesoreria in cui verranno canalizzate tutte le operazioni che rientrano in questi intervalli temporali (determinando ad esempio se ho un operazione a 18 mesi se rientra più nel pol a 12 o quello a 24 mesi) . La matrice dei tassi è tanto più diversificata quanto più la banca vuole pressare l'effetto del mismatch e trasferirlo alla centro fittizio.  E' evidente come sia molto pratico per l'uomo di tesoreria prendere a riferimento i tassi di mercato per la determinazione dei TIT.
Ad esempio nell'operazione a 24 mesi il cost of funding è 5,6 conseguentemente lo spread che mi rimane è solo lo 0,4% che, moltiplicato per il capitale impiegato (115) determina la mia redditività.
Se ciò non avvenisse le filiali con un volume di raccolta superiore agli impieghi presenterebbero un risultato economico negativo; mentre le filiali prenditrici nette di fondi risulterebbero largamente redditizie. E' evidente quindi l’esigenza di attribuire un ricavo (ed un costo) figurativo ai fondi ceduti (o ricevuti da) altri centri.

Per la Tesoreria è possibile far ricorso sia ad unico tasso (per la raccolta e per gli impieghi, colonna gialla) sia un tasso doppio ma solitamente si ritiene più opportuno optare per il tasso unico; l’esistenza di un doppio tasso infatti crea un utile fittizio in capo alla tesoreria non giustificato da un effettivo valore aggiunto fornito, che peraltro comprime in maniera ingiustificata la redditività delle filiali. 

Nello specifico, il funzionamento del sistema dei Tassi interni di si basa sul cosiddetto Metodo della contribuzione a flussi lordi in base al quale nella determinazione del Margine di contribuzione della filiale concorrono non solo i flussi di interessi attivi e passivi  reali (realizzati con l'esterno) ma anche i figurativi che derivano dalla valorizzazione dei trasferimenti interni dei fondi tra le filiali stesse. In tal modo tutti i fondi raccolti vengono ceduti ad un pool di tesoreria (centro fittizio) che li remunera al Tasso Interno di Trasferimento (interesse attivo figurativo) e analogamente, tutti i fondi impiegati vengono attinti dallo stesso pool al medesimo TIT (interesse Passivo figurativo dato dal prodotto fra i fondi impiegati ed il TIT stesso). In tal modo la contribuzione della filiale alla redditività della banca non dipenderà tanto dal volume degli impieghi e della raccolta sul mercato, quanto dalla capacità dell’unità territoriale di realizzare un differenziale positivo (“spread”) tra il TIT ed il tasso di interesse negoziato sulla raccolta (o sull’impiego). Il TIT deve quindi essere definito in modo tale da orientare la filiale verso l’adozione di scelte ottimali per se stessa e per la banca nel suo complesso. In tal modo è possibile separare il risultato economico della filiale dal risultato economico della Tesoreria, evitando di far ricadere sulla prima eventuali efficienze-inefficienze della seconda.
Vantaggi del metodo della contribuzione a flussi lordi:
  • è possibile leggere il contributo economico assicurato da ciascuna forma tecnica (cosa che non sarebbe possibile con la tradizionale impostazione a flussi netti, che si limita a sommare algebricamente elementi positivi e negativi di reddito riducendo il conto economico di filiale esemplificato alle prime 3 colonne);
  • La raccolta non è più una materia prima, ma un vero e proprio prodotto finanziario indipendente da cui generano costi e ricavi;
  • Richiede informazioni di facile reperimento (volumi intermediati e TIT, generalmente coincidenti con i tassi di mercato per i motivi sopra indicati);
  • è possibile affrontare problematiche di marketing inerenti la convenienza ad agire sui mercati di raccolta o di impiego;
  • il risultato "quadra" con la contabilità.
Dott.ssa Valeria Ponis

    Sistema dei controlli interni: evoluzione, ruoli e fasi del processo di pianificazione e programmazione in banca

    A partire dal 1998 la Banca d’Italia ha avviato una lunga fase di produzione normativa (che sotto certi versi si sta ancora completando) per la regolamentazione del Sistema dei controlli interni delle banche e degli altri intermediari finanziari. Tale fase ha inizio con l’emanazione della Circolare n° 4 del 29 Marzo 1998, la quale, per le notevoli difficoltà a seguito incontrate dagli intermediari nella First Time Application (che prevedeva una serie di interventi necessari per la regolazione della struttura e l’organizzazione del sistema dei controlli nonché l’invio di una relazione annuale alla BI sullo stato attuale dello stesso) ha visto il susseguirsi di ben 145 aggiornamenti che hanno reso necessaria una completa riedizione della Circolare.
    Tale riedizione è avvenuta il 21 Aprile 1999 con l’emanazione della Circolare Banca d'Italia n° 229 la quale definisce il sistema dei controlli interni come l'insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative che mirano ad assicurare il rispetto delle strategie aziendali e il conseguimento delle seguenti finalità:
    — efficacia ed efficienza dei processi aziendali (amministrativi, produttivi, distributivi);
    — salvaguardia del valore delle attività e protezione dalle perdite;
    — affidabilità e integrità delle informazioni contabili e gestionali;
    — conformità delle operazioni con la legge, la normativa di vigilanza nonché con le politiche, i piani, i regolamenti e le procedure interne.
    Le banche in virtù di ciò devono porre in essere soluzioni organizzative che:
    — assicurino la necessaria separatezza tra le funzioni operative e quelle di controllo ed evitino situazioni di conflitto di interesse nell'assegnazione delle competenze;
    — siano in grado di identificare, misurare e monitorare adeguatamente tutti i rischi assunti o assumibili nei diversi segmenti operativi;
    — stabiliscano attività di controllo a ogni livello operativo e consentano l'univoca e formalizzata individuazione di compiti e responsabilità, in particolare nei compiti di controllo e di correzione delle irregolarità riscontrate;
    — assicurino sistemi informativi affidabili e idonee procedure di reporting ai diversi livelli direzionali ai quali sono attribuite funzioni di controllo;
    — garantiscano che le anomalie riscontrate dalle unità operative, dalla funzione di revisione interna o da altri addetti ai controlli siano tempestivamente portate a conoscenza di livelli appropriati dell'azienda (del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, se significative) e gestite con immediatezza;
    — consentano la registrazione di ogni fatto di gestione e, in particolare, di ogni operazione con adeguato grado di dettaglio, assicurandone la corretta attribuzione sotto il profilo temporale.
    Inoltre si prescrive che il sistema dei controlli interni venga periodicamente soggetto a ricognizione e validazione in relazione all'evoluzione dell'operatività aziendale e al contesto di riferimento.
    Tale piano di interventi avrebbe dovuto assicurare, entro un lasso ragionevole di tempo, l’adeguamento alle prescrizioni della Banca d’Italia ma, l’eccessiva generalità con cui l’assetto dei controlli interni era stato trattato nelle precedenti Circolari e la necessità di cercare qualcuno da responsabilizzare in materia di controlli, ha reso necessari ulteriori indicazioni e chiarimenti effettuati dalla stessa istituzione mediante articoli e lettere di chiarimento. Il più importante di questi, la “lettera” del 5 Novembre 1999 “La vigilanza sugli assetti organizzativi delle banche “ (che in realtà è un articolo pubblicato nel bollettino statistico della Banca d’Italia) è stata la più importante di questi nel definire chiaramente una volta per tutte il ruolo della funzione di Controllo di Gestione in banca. Quest’ultima, viene così frazionata in 5 sottosistemi:
    • Sistema dei controlli interni
    • Sistema informativo contabile
    • Gestione del personale
    • Pianificazione strategica
    • Programmazione e controllo di gestione

    Le ultime due funzioni rappresentano i principali attori del processo di controllo in banca, intervenendo nella definizione, revisione e controllo delle linee strategiche e dei relativi investimenti (incluse le eventuali modifiche organizzative) definendo delle procedure che consentono alle strutture di vertice di guidare l’andamento delle diverse aree operative. Tale imprescindibile ruolo può essere efficacemente evidenziato come di seguito focalizzando il ruolo svolto dall’uomo di pianificazione strategica (di Programmazione e controllo se parliamo di definizione di obiettivi di breve termine) nelle varie fasi di articolazione del Piano di Budget annuale (sotto le linee del piano strategico pluriennale, solitamente redatto ogni tre anni in banca):

    Dott.ssa Valeria Ponis
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    Calendario 2011 emissioni di Buoni ordinari del Tesoro (Bot).

    Il ministero dell'Economia ha  comunicato il calendario secondo il quale si svolgeranno l'anno prossimo le emissioni di Buoni ordinari del Tesoro (Bot).

    Per ogni titolo, il calendario indica la durata, le date di comunicazione dei volumi al mercato, giorno dell'asta, di regolamento e di scadenza.

    Guarda il calendario aste BOT 2011 (pdf)

    Sistemi di Controllo di Gestione in Banca: principali profili operativi e evoluzione dell’approccio metodologico in Italia

    Lo sviluppo dei contributi alla disciplina del controllo nelle banche del nostro paese parte negli anni ’70 come esigenza di garantire adeguati livelli di economicità alla gestione. Le strutture e le condizioni di operatività che contraddistinguono le aziende di credito Italiane hanno però fatto si che l’evoluzione dei suddetti sistemi fosse molto più lenta e viscosa rispetto a quella delle imprese industriali (ambito nel quale tale tematica ha conosciuto i suoi primi sviluppi) rendendo difficile lo sviluppo di una visione sistemica del controllo ( a lungo concepito come mera attività ispettiva e di misurazione). Mentre difatti nei paesi anglosassoni tale processo evolutivo è stato facilmente attuabile per il modesto livello di complessità interno degli istituti di credito (e per il conseguente livello di decentramento raggiunto) costituendo terreno fertile per lo sviluppo di evoluti meccanismi di controllo, in Italia, in cui la realtà operativa era costituita da imprese ed intermediari finanziari di piccole dimensioni basati su modelli prevalentemente monobusiness con scarsi livelli di decentramento e condizioni ambientali tendenzialmente stabili, il cambiamento in atto non è riuscito a scardinare strutture di governo fortemente accentrate dove l’attività decisionale veniva svolta esclusivamente al vertice. Tale staticità ha a lungo convinto i responsabili delle aziende di credito che la gestione della banca fosse cosa facile, stabile, che non necessitasse rigorosi calcoli di convenienza economica e che il reddito dipendesse soltanto dai volumi gestiti (variabile chiave). Ciò ha fatto si che il loro unico obiettivo fosse il raggiungimento di maggiori dimensioni operative, stante anche il rigido atteggiamento delle Autorità di Vigilanza fortemente limitante la libera operatività delle aziende di credito. I sistemi di controllo tradizionali prevedono quindi azioni standardizzate che agevolavano la perfetta conoscibilità dell’operatività della banca per il management incentivando la creazione di un contesto settoriale molto stabile. L’operatività futura veniva estrapolata da quella passata facendo sì che si ponessero obiettivi poco significativi, verificati con intervalli temporali molto ampi e conseguenti azioni correttive tardive ed inefficaci. Da ciò si deduce come l’introduzione di una nuova cultura orientata al controllo abbia rappresentato un elemento di rottura con il tradizionale modo di governare in banca costringendo i livelli manageriali intermedi a doversi confrontare con logiche meritocratiche fondate su un nuovo concetto di responsabilizzazione e sottoposti a criteri di valutazione più oggettivi (ben lontani dalle logiche burocratiche che a lungo hanno contraddistinto l’operatività degli intermediari creditizi).

    Principali nozioni di controllo (ex-Circolare 229/1999 della Banca d’Italia):

    La prima definizione di “controllo” è stata fornita da Fayol identificandolo come “attività di verifica ed ispezione delle prestazioni degli individui ad opera dei loro diretti superiori” articolata nelle fasi di :

    1. Misurazione          2. Valutazione           3. Eventuale correzione delle azioni intraprese

    Tale concezione ha favorito lo sviluppo di un approccio strutturalista al governo dell’impresa basato esclusivamente sul rispetto delle regole in base alla concezione che l’impresa (in quanto sistema chiuso) sia in grado di autoregolarsi, ovvero garantire che gli individui adottino comportamenti coerenti con gli obiettivi aziendali. L’emersione dei limiti di tale modello ha favorito così la nascita di un approccio comportamentista basato su un utilizzo più razionale della burocrazia che ponga anche attenzione alla variabile umana e motivazionale.

    L’introduzione di una compiuta visione sistemica del controllo è però avvenuta ad opera di Anthony che scindendo la fase di pianificazione da quella di controllo, rende quest’ultima parte integrante di un più ampio processo che coinvolge l’intera organizzazione e non solo la funzione di direzione. Tale processo consta di tre momenti:

    - Pianificazione strategica: definizione degli obiettivi generali e azioni volte a raggiungerli.

    - Controllo direzionale: i dirigenti si assicurano che le risorse siano utilizzate efficientemente.

    - Controllo operativo: verifica del raggiungimento delle condizioni di efficacia ed efficienza e la relativa conformità con gli obiettivi preposti.

    Secondo tale concezione il controllo (non più mera ispezione) assume il ruolo di guida e governo dell’impresa.
    Dott.ssa Valeria Ponis

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