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Il caso Dubai World

La capogruppo di Nakheel, il colosso immobiliare impegnato nella costruzione delle “Palm Islands”

Il caso Dubai World
Lo scorso novembre la holding statale Dubai World aveva chiesto ai suoi creditori una moratoria di 6 mesi sulle proprie passività che ammontavano a 59 miliardi di dollari.
La notizia aveva pesato molto sull’andamento dei principali indici delle borse internazionali. Dubai World, infatti, è la capogruppo di Nakheel, il colosso immobiliare impegnato nella costruzione delle “Palm Islands”, detiene anche consistenti partecipazioni nei mercati azionari di tutto il mondo.
Dubai World, che rappresenta il cuore degli affari di Dubai, uno dei sette emirati che compongono gli Emirati arabi uniti, oltre alla moratoria di sei mesi sui propri debiti aveva anche provato a rinegoziare la sua posizione debitoria e un bond islamico della controllata Nakheel Properties.

L’aiuto di Abu Dhabi
Recentemente Abu Dhabi, la capitale degli Emirati ha fornito a Dubai World 10 miliardi di dollari che sono stati utilizzati dall’immobiliare Nakheel per rimborsare un bond per oltre 4 miliardi di dollari in scadenza.
La decisione di andare in soccorso della sorella minore non dovrebbe tuttavia costituire un caso isolato, in quanto il Ministro dell’economia degli Emirati arabi uniti, Sultan al-Mansouri ha lasciato intendere che Dubai World non sarà lasciata sola.
Infatti, nonostante la rivalità tra i due Emirati, gli istituti di credito di Abu Dhabi posseggono circa un terzo dei debiti di Dubai e hanno ogni interesse a non stare ad osservare a mani conserte.

Condanne più severe
I recenti accadimenti sembrano aver messo a dura prova l’emirato di Dubai che ha inasprito le condanne per frodi finanziarie (in particolare quelle sui fondi governativi) con lo scopo di meglio tutelare gli interessi di Dubai e dei suoi investitori.
Le nuove regole introducono pene detentive da 5 a 20 anni che però decadono in caso di restituzione delle somme illegittimamente sottratte.

Verso la ristrutturazione
Ora non resta che attendere la proposta di ristrutturazione della prima parte del debito con le banche, pari a 26 miliardi di dollari, prevista per metà gennaio.
Il piano di ristrutturazione di Dubai World coinvolge alcune delle sue società (tra cui Nakheel) e prevede alcuni importanti cambi al vertice. La proposta di ristrutturazione avanzata da Dubai World prevedrebbe inoltre la fusione di tre società di real estate (Dubai Properties, Sama Dubai e Tatweer).
Non dovrebbero invece essere ricomprese nel piano Istithmar World, Ports & Free Zone World e Infinity World Holding.
Tra i creditori del gruppo si contano 90 istituti di credito che avranno come compito quello di nominare un comitato di coordinamento mentre la società di revisione Deloitte si occuperà del mandato di rappresentanza di Dubai World.

fonte: Borsa Italiana

Operazioni di mercato aperto

Le acquisizioni e vendite di titoli di Stato effettuate in Borsa dalle banche centrali

Con il termine "operazioni di mercato aperto" ci si riferisce alle acquisizioni e vendite di titoli di Stato effettuate in Borsa dalle banche centrali.
Si parla nello specifico di operazioni di mercato aperto riferendosi a quelle messe in atto dalle banche centrali per ampliare o ridurre la base monetaria, dove con base monetaria ci si riferisce all'aggregato monetario che rappresenta lo stock di valuta (monete e banconote) e di depositi caratterizzati da diversi gradi di liquidità presenti in un sistema finanziario.
La base monetaria è data dal totale delle banconote e delle monete in circolazione sommate alle riserve (obbligatorie e facoltative) e ai depositi detenuti presso un sistema finanziario. Essa rappresenta una passività nel bilancio della banca centrale.
Attraverso le operazioni di mercato aperto la banca centrale acquista e vende titoli di Stato e così facendo inietta e ritira moneta dal sistema.
Il collocamento dei titoli di Stato avviene attraverso un'asta riservata a grandi investitori istuzionali che poi rivendono i titoli ai propri risparmiatori e ad altri soggetti economici.
Gli acquirenti (banche, imprese e piccoli risparmiatori) potranno poi rivendere i titoli sul mercato secondario di Borsa italiana.
L'acquisto o la vendita di titoli di Stato rappresenta il principale canale con cui una Banca centrale assolve al proprio compito istituzionale di regolare la quantità di moneta in circolazione.
Insieme alle operazioni attivabili su iniziativa delle controparti e alla riserva obbligatoria rappresenta uno degli strumenti a disposizione dell’Eurosistema per la conduzione della politica monetaria.
Come chiarisce infatti la Banca d'Italia le operazioni di mercato aperto hanno la funzione di immettere o drenare la liquidità. Può prendervi parte ogni istituzione creditizia residente nei paesi dell’Eurosistema in possesso dei necessari requisiti.
La Banca d’Italia esegue le operazioni di mercato aperto nei confronti delle banche presenti sul territorio nazionale attenendosi alle istruzioni impartite dalla BCE e alle regole e alle procedure comuni concordate all’interno dell’Eurosistema. Inoltre, come precisato dalla Banca stessa, è responsabile della gestione delle garanzie che stanno a fronte delle operazioni svolte e individua le attività finanziarie emesse in Italia che possono essere utilizzate come garanzia.

Le operazioni di mercato aperto rappresentano quindi uno dei modi con cui tecnicamente le banche centrali danno attuazione alla politica monetaria, a seguito di una decisione di alzare/abbassare i tassi.
Nello specifico il mercato aperto è rappresentato dalla banca centrale, dalle banche nazionali ed estere autorizzate dalla Banca Centrale ad operare sul territorio, e da alcune Sim. L'oggetto scambiato nelle operazioni di mercato aperto sono i titoli di Stato e lo scambio come già accennato avviene secondo procedure bilaterali tra ogni singola banca e la Banca Centrale, con aste mensili a tasso fisso oppure tramite aste settimanali a tasso variabile. Ogni asta è gestite dalla Banca Centrale, che stabilisce quali banche sono risultate aggiudicatarie dei titoli in base al regolamento applicato.

fonte: Borsa Italiana

Cos'è Basilea II

Standard per la gestione del credito delle banche.

Cos’è
Quando si parla di Basilea II ci si riferisce all'accordo maturato dal Comitato di Basilea per la Supervisione Bancaria, sostitutivo del precedente Basilea I.
L'obiettivo dell'accordo è quello di sopperire alle lacune del precedente protocollo nato con l’obiettivo di stabilire degli standard comuni in merito alla gestione del credito delle banche diventata troppo poco prudente.
Il compito principale del primo accordo è stato quello di mettere ordine nel quadro normativo delle banche relativamente al modo con cui gli istituti di credito valutavano i rischi delle aziende a cui facevano credito.
Basilea viene inquadrato come un atto di autoregolamentazione del sistema creditizio su scala internazionale. Infatti le indicazioni del Comitato di Basilea diventano atti giuridicamente vincolanti per le singole banche solo con il loro recepimento da parte delle banche centrali nazionali.
L’implementazione del nuovo accordo da parte delle banche è stata completata alla fine dell’anno 2007.

Da Basilea I a Basilea II
Il mancato raggiungimento di alcuni degli obiettivi inizialmente fissati da Basilea I portò il Comitato a presentare nel 1999 una nuova proposta che va sotto il nome per l’appunto di Basilea II.
Uno dei nodi fondamentali da sbrogliare riguardava in primis il fatto che l'accordo Basilea I valutava le aziende in base a requisiti molto semplificati (come negli obiettivi dell’accordo). Esso si limitava infatti a prendere atto della storia patrimoniale di un’azienda, e della sua capacità attuale di rimborso, ma non si proponeva di valutare in modo dinamico la capacità dell’azienda di generare reddito (fatto che assume importanza notevole nelle aziende che fanno innovazione).
Questa ragione in particolare unitamente ad altre portò il Comitato a elaborare nuove linee guida, standard e raccomandazioni.

In particolare il contenuto del Nuovo Accordo si articola su tre pilastri:

1) Requisiti patrimoniali minimi: gli accordi di Basilea II hanno fissato il coefficiente di solvibilità all'8%. Tale coefficiente fissa l'ammontare minimo di capitale che le banche devono possedere in rapporto al complesso delle attività ponderate in base al loro rischio creditizio. Sono stati introdotti poi i concetti di rischio operativo (ad es. frode interna, frode esterna, risarcimenti richiesti da dipendenti, violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza del personale, pratiche discriminatorie, responsabilità civile e penale) e di rischio di mercato (definito come il rischio di perdite derivanti da negoziazione di strumenti finanziari sui mercati, indipendentemente dalla loro classificazione in bilancio). Per la misurazione del rischio di credito le banche potranno utilizzare varie metodologie di calcolo dei requisiti. Tra queste maggior risalto va dato ai sistemi di internal rating, il cui compito principale è rappresentato dal garantire una maggior sensibilità ai rischi.

2) Basilea II inoltre prevede che le Banche Centrali abbiano una maggiore discrezionalità nel valutare l'adeguatezza patrimoniale delle banche, potendo imporre una copertura superiore ai requisiti minimi stabiliti.

3) Il terzo requisito infine è quello della disciplina e della trasparenza del mercato che introduce più stringenti regole di trasparenza per l'informazione al pubblico.

Il rating
Particolare rilevanza viene data infine al rating interno.
Basilea II, infatti, introduce la possibilità, per gli istituti di credito, di affiancare ai rating emessi dalle agenzie specializzate, anche rating prodotti al proprio interno.
Questo permette alle banche di dotarsi di maggiori strumenti per il rischio di impresa garantendo agli istituti un maggior numero di informazioni rilevanti e permettendo loro di formulare valutazioni più concrete e realistiche.
Tuttavia ciò implica vincoli più stringenti in termini di rapporto tra rischi e finanziamenti.
Ecco perché una delle critiche a Basilea II è rappresentata dall’effetto di carattere restrittivo nella concessione del credito alle imprese.
Il primo effetto è che le imprese di più basso rating (generalmente Pmi) vedrebbero peggiorate le loro condizioni di credito.

fonte: Borsa Italiana

La riforma Sanitaria in USA

Il progetto di riforma di Obama prevede l’istituzione di un’assicurazione pubblica sulla salute

All’inizio di novembre 2009 la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato la riforma sanitaria. Affinché tuttavia si possa promulgare la legge entro la fine dell’anno, come nelle intenzioni del presidente Barack Obama, sarà necessaria l’approvazione anche da parte del Senato, dove la maggioranza democratica non è così netta come alla Camera.
Il progetto di riforma prevede una copertura finanziaria di circa mille miliardi di dollari in dieci anni con l’istituzione di un’assicurazione pubblica sulla salute, che dovrebbe competere con quelle private e in questo modo ridurre le tariffe sanitarie e mediche che hanno raggiunto livelli molto elevati. Il piano messo a punto prevede di ridurre dell’1,5% l’anno i costi dell’assistenza medica.
L’obiettivo di Obama è quello di garantire l’assistenza sanitaria a 36 milioni di cittadini americani che attualmente non godono di alcuna copertura. Il progetto prevede inoltre di arrivare a coprire il 96% della popolazione in un arco di dieci anni, per un ammontare complessivo di 1.200 miliardi di dollari.
Il testo della riforma introduce peraltro alcune norme restrittive per le compagnie assicurative come l’obbligo da parte dei datori di lavoro di assicurare i loro dipendenti o anche il divieto per le compagnie assicurative di negare ai clienti la copertura sulla base delle cosiddette "condizioni mediche preesistenti" oppure di aumentare in misura rilevante il prezzo delle polizze nei confronti delle persone più anziane.
Qualora approvata, si tratterebbe della maggiore riforma sanitaria dal 1965, quando venne varato il programma "Medicare" per l’assistenza medica ad anziani e pensionati.

In sintesi, la riforma proposta da Obama prevede tre obiettivi:.
- Il primo è di garantire stabilità e sicurezza a chi possiede già un’assicurazione. A questi il governo proporrà una valida alternativa, a costi minori. L’intenzione è di creare un mercato competitivo (a tutela del consumatore), spingendo le grandi compagnie private a diminuire i costi delle loro polizze. Le compagnie assicurative saranno infatti tenute a pagare una tassa sulle polizze eccessivamente costose che permetterà di coprire parte dei costi della riforma, favorendo parallelamente una generale riduzione dei prezzi. Ogni cittadino potrà quindi scegliere se essere assicurato con una compagnia privata o con quella governativa.

- Il secondo obiettivo è la garanzia dell’assistenza sanitaria ai 36 milioni di cittadini statunitensi attualmente privi di una copertura assicurativa, i quali potranno usufruire di cure mediche gratuite. Nonostante nel 1965 siano stati istituiti i programmi “Medicare” (per gli adulti con età superiore ai 65 anni) e “Medicaid” (per le famiglie con basso reddito), questi non riescono a coprire la richiesta dell’intera popolazione di indigenti. Peraltro questi programmi sono fonte di inefficienza in quanto impongono al governo costi esorbitanti e sono gravati da sprechi e frodi da parte delle stesse compagnie assicurative private, alle quali è affidata parte della gestione dei beneficiari.

- Il terzo obiettivo è la riduzione dei costi di gestione e il miglioramento delle rendite del settore medico a lungo termine, al fine di realizzare un risparmio per le famiglie, le imprese e il governo. L’intenzione di Obama è quella di aprire un mercato assicurativo più accessibile, con nuovi clienti anche per le compagnie private visto che si prevede che solo il 5% dei cittadini statunitensi usufruirà delle cure offerte dallo Stato (gli altri avranno la possibilità di acquistare polizze private ad un prezzo ridotto da una sana competizione), e di introdurre nel sistema sanitario tutti coloro che attualmente, per condizione economica, ne sono tagliati fuori.

Gli elettori sono tuttavia preoccupati dal costo relativo all’attuazione della riforma ma il presidente Obama ha già assicurato che questa non andrà a incrementare il deficit americano.

fonte: Borsa italiana

Cos'è l'ammortamento

L'ammortamento è un procedimento amministrativo-contabile con cui il costo di un bene viene ripartito nel corso di più esercizi.
Oggetto del procedimento di ammortamento sono i cosiddetti beni a fecondità ripetuta, ovvero, che mantengono la loro utilità nel corso del tempo.
Attraverso la procedura di ammortamento infatti il costo di tali beni viene spalmato su più anni in ragione della loro durata economica.
La decisione da parte di un’azienda di ripartire il costo di un bene su più anni viene messa in pratica suddividendo il costo del bene in più quote, il cui numero varia in funzione del numero di esercizi in cui il bene (impianto, macchinario etc.) sarà utilizzato.
Ad imporre l’ammortamento è anche il principio contabile della competenza economica delle componenti reddituali, secondo cui non è possibile imputare un bene che viene utilizzato in più esercizi interamente all'esercizio in cui è stato acquistato.

Oggetto dell'ammortamento possono essere:
Le immobilizzazioni materiali ovvero l’insieme di tutti i fattori produttivi ad utilità pluriennale fisicamente tangibili (ad esempio, fabbricati, macchinari, impianti, automezzi, attrezzature industriali e commerciali, computer, mobili d'ufficio ecc.).
Le immobilizzazioni immateriali come l’insieme di tutti i fattori produttivi ad utilità pluriennale non fisicamente tangibili (ad esempio, brevetti e marchi, diritti di utilizzo di opere dell'ingegno, concessioni governative, costi di ricerca & sviluppo, costi di pubblicità ecc.).

Mentre per le immobilizzazioni materiali viene usato spesso il metodo indiretto, che fa confluire ogni anno la quota nel fondo ammortamento; per le immobilizzazioni immateriali si applica il metodo diretto, consistente nel portare direttamente in deduzione dal costo storico del bene pluriennale le quote d'ammortamento.

La procedura dell'ammortamento è stabilita dal Codice Civile (art. 2426 c.c.) ai fini della redazione del bilancio d'esercizio. Esiste anche il cosiddetto ammortamento fiscale, dettato dal legislatore fiscale ai fini di determinare la base imponibile.
L’ammortamento redatto a fini fiscali deve essere calcolato seguendo le aliquote di ammortamento previste dall’Agenzia delle entrate (pubblicate con decreto ministeriale ogni anno), che indicano la quota massima deducibile ai fini della determinazione del reddito d'impresa fiscalmente imponibile.

Le tipologie:
Esistono varie tecniche di ammortamento:
  • ammortamento a rate posticipate;
  • ammortamento a rate anticipate;
  • ammortamento con anticipazione degli interessi;
  • ammortamento con quote capitali costanti (italiano);
  • ammortamento con quote capitali costanti (tedesco);
  • ammortamento a rate costanti (francese);
  • ammortamento con quote di accumulazione a due tassi (americano).

 Non sempre viene redatto un piano di ammortamento più comunemente utilizzato per l’estinzione di debiti finanziari come i mutui.

 
Tuttavia a volte si parla di piano di ammortamento riferendosi al calcolo degli ammortamenti dei beni aziendali, che consiste nella previsione delle quote annuali di ammortamento per tutti gli esercizi previsti

 
fonte: Borsa Italiana
 

 

 
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Che cos'è l'Inflazione?

l'Inflazione è un dato Macro-Economico capace di influenzare le decisioni di Politica Monetaria
L’inflazione, in economia, indica una crescita generalizzata e continuativa dei prezzi nel tempo.
Per calcolare l’inflazione è necessario costruire un indice dei prezzi al consumo e nella maggior parte dei paesi la misura di questo indice è attribuita all'Istituto nazionale di statistica.
L'indice dei prezzi al consumo è uno strumento statistico che misura le variazioni nel tempo dei prezzi di un insieme, denominato paniere, di beni e servizi, caratteristico dei consumi delle famiglie di un determinato paese.
In Italia l’Istituto nazionale di statistica è l'Istat, che elabora tre diversi indici dei prezzi al consumo: quello per l'intera collettività nazionale NIC, quello relativo ad operai e impiegati FOI oltre all'indice armonizzato europeo IPCA. Quest’ultimo è di grande rilevanza poiché viene utilizzato come indicatore per verificare la convergenza delle economie dei paesi membri della UE (Unione Europea), al fine della permanenza o dell'ingresso nell'Unione Monetaria.
L’inflazione rappresenta dunque un dato macroeconomico importante, molto seguito dagli economisti poichè capace di influenzare le decisioni di politica monetaria delle Banche Centrali internazionali. L’obiettivo principale degli Istituti Centrali è infatti quello di mantenere la stabilità dei prezzi, circostanza che, secondo gli esperti, rappresenta una delle condizioni basilari per l'innalzamento del livello dell'attività economica e dell'occupazione.
Un’inflazione superiore ai limiti di tolleranza imposti dalle autorità finanziarie induce le Banche Centrali ad attuare politiche monetarie restrittive, che implicano dunque un rialzo dei tassi d’interesse. Le ripercussioni che tali scelte possono avere sull'andamento dei mercati fanno si che l'inflazione venga seguita con molta attenzione da tutti gli operatori finanziari.


fonte: Borsa italiana

Rischi dell'Investimento azionario

Statisticamente le economie attraversano più periodi di crescita che di recessione, quindi le azioni rappresentano un buon mezzo per superare gli effetti dell’inflazione. Per esempio, 10.000 € lasciate sotto il materasso, ipotizzando un aumento annuo del 2,5% nel costo dei prodotti e servizi a causa dell’inflazione, dopo un anno varrebbero 9.750 € . Dopo cinque anni tale valore sarebbe sceso fino a 8.810 €.

Tuttavia il possesso azionario non è privo di rischi. Può darsi che quindi l’inflazione rosicchi i risparmi nel lungo termine, ma in caso di un crollo delle quotazioni azionarie, si corre il rischio di perdere gran parte del capitale investito. In caso di fallimento dell’impresa partecipata, le azioni possedute potrebbero diventare prive di valore.
Si può anche perdere denaro senza che le imprese falliscano. Altri investitori potrebbero semplicemente decidere che la società non vale quanto inizialmente pagato, forse a seguito di una diminuzione nella relativa quota di mercato, e laddove il numero di quelli che la pensano così sia sufficiente, si assisterà ad una perdita di valore della partecipazione detenuta. Le azioni tendono a svalutarsi altresì in caso di andamento negativo dell’economia, poiché gli investitori ravvisano un potenziale calo dei profitti.
Vale però la pena di notare che, a parte le società che falliscono, le imprese che hanno subito un calo si possono riprendere nel tempo. In alcuni casi, laddove un’azione sia calata, può essere utile conservarla in attesa del recupero, mentre altre volte può essere meglio ‘tagliare le perdite’ ed investire in una società con migliori prospettive.

fonte: Borsa italiana

Investire in Azioni

Cosa sono le azioni?
Esistono numerose tipologie di azioni che si possono acquistare ma quella più comune è l’azione ordinaria. Le azioni ordinarie rappresentano semplicemente delle quote di possesso di un’impresa.
Mediante l’acquisto di azioni, dette anche titoli azionari, si diventa letteralmente proprietario di una quota dell’attività commerciale in questione. Per esempio, se la ditta ABC spa è suddivisa in 100.000 azioni del valore nominale di 1 € ciascuna, acquistando azioni per un importo pari a 1.000 €, si diventa proprietario dell’1% della società.
Un’impresa non deve necessariamente quotarsi in borsa per emettere azioni: tali società vengono chiamate imprese non quotate e spesso per descrivere i loro titoli si usa il termine ‘non quotati’.
La qualifica di azionista dà il diritto di intervenire negli affari della società mediante il voto nelle assemblee nonché, naturalmente, la possibilità di condividere le sue ricchezze. Se l’impresa va bene, il valore dell’investimento sale, ma in caso di andamento negativo, si potrebbe assistere ad un calo nel valore delle azioni.

Perchè investire in Azioni?
Ci sono due modi in cui si può trarre beneficio dal possesso di azioni. Il primo modo è attraverso la crescita dell’impresa. Per esempio, supponiamo che, in un anno, la società ABC SpA consegua un reddito di 100.000 € . Al netto degli oneri, le rimangono 50.000 €, il suo utile.
Reinveste poi questo denaro nell’attività, magari investendo in una migliore tecnologia, che consente una riduzione dei costi e, quindi, il conseguimento di un utile maggiore l’anno successivo. Laddove riesca a proseguire il miglioramento dei suoi utili, la domanda per le sue azioni crescerà e la relativa quotazione azionaria salirà. Tali società, definiti titoli di sviluppo, attirano quegli investitori che non hanno bisogno di percepire un reddito dai loro investimenti.
Molte società distribuiscono altresì un dividendo. Supponiamo, per esempio, che la società XYZ SpA consegua un reddito di 100.000 € . Al netto dei suoi oneri e dopo avere reinvestito nella propria attività, le restano 10.000 €. Decide di restituire questa somma agli azionisti mediante il pagamento di un dividendo. Se la società conta 100.000 azionisti, a ciascuna azione spetterà un dividendo di 10 centesimi. Dunque, in caso di possesso di 100 azioni, il dividendo totale sarà pari a 10 €.
Le società possono utilizzare anche altri modi per restituire il denaro agli azionisti, come per esempio il riacquisto delle proprie azioni. In tal modo incrementano il valore delle azioni rimaste in circolazione.
Investendo in azioni, si crea inoltre un collegamento tra la propria ricchezza patrimoniale e la salute dell’economia nazionale e di quella estera. La proporzione dei prodotti e servizi venduti sul mercato interno e all’estero aumenta quando l’economia è in crescita e diminuisce in caso di recessione, incidendo di conseguenza sui profitti.

fonte: Borsa Italiana