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SMART GRID: la Rivoluzionaria Rete Elettrica Intelligente del Futuro (Ip)

40 milioni di contatori intelligenti e 3000 chilometri di linee di trasmissione, a questo sta puntando gli USA con Obama. Ciò significa che il 2010 potrebbe essere l’anno giusto per iniziare finalmente a dare reale attenzione alla Power Grid 2.0, la famosa Smart Grid in grado di dare una svolta alla rete elettrica realizzata negli anni ‘60 e ‘70, trasformandola in una moderna rete che utilizza microprocessori e software per lavorare in modo efficiente e attingere a fonti rinnovabili per la distribuzione di energia. La Smart Grid potrebbe essere anche uno dei più grandi generatori di ricchezza del decennio. L’analista Jesse Berst di recente, ha affermato riguardo ai contatori intelligenti, che possono essere considerati come un invenzione pari alla ferrovia transcontinentale, al sistema telefonico, al sistema autostradale interstatale e ad Internet. Ma in che cosa consiste realmente la Smart Grid? Ecco maggiori dettagli riguardo alla più recente tecnologia innovativa e rivoluzionaria.


Cosa Significa Smart Grid?
La Smart Grid consente a più dispositivi di funzionare su una rete comune, condivisa, inter-operabile, in poche parole in modo simile al concetto che sta dietro Internet. Smart Grid significa quindi prima di tutto flessibilità. La Smart Grid è in grado di inviare il surplus di energia di determinate aree ad altre zone in quel momento in deficit. Il tutto in tempo reale e in modo dinamico. Ciò significa trasformare l’attuale rete elettrica (degli USA), che possiede 14.000 sottostazioni di trasmissione, in 4.500 grandi sottostazioni per la distribuzione e 3.000 proprietari pubblici e privati in grado di distribuire energia elettrica, in una rete che comunica con intelligenza e lavora in modo efficiente. La nuova Smart Grid utilizza reti di sensori wireless, software e utility computing che permettono di osservare e controllare quanta energia viene consumata e in che cosa e se si creano black-out o guasti nella rete. Gli utenti privati saranno in grado di visualizzare la quantità di energia che hanno consumato e di regolare di conseguenza le loro abitudini di consumo. Due contatori intelligenti tra loro collegati saranno installati in ogni casa. Queste linee elettriche intelligenti Smart Grid apriranno la strada per capire quanto si consuma in tempo reale, nel momento in cui l’energia viene venduta a prezzi ed aliquote diverse a seconda del momento della giornata e quando non c’è grande quantità di energia elettrica richiesta. In questo modo gli utenti privati saranno in grado effettivamente anche di poter tagliare e ottimizzare le loro bollette energetiche mensili. La Smart Grid fornirà energia pulita dalle zone del paese in cui c’è abbondanza di energia solare ed eolica, motivo per cui Obama ha richiesto la costruzione di vaste e capillari linee di trasmissione. La rete intelligente sarà anche in grado di estrarre energia dai dispositivi distribuiti all’interno di impianti per l’energia pulita, come pannelli fotovoltaici e piccole turbine eoliche sui tetti, che possono inviare alla griglia elettrica la propria preziosa energia e compensare i generatori di elettricità.

Necessità di una Smart Grid
Abbiamo bisogno di una Smart Grid perché, aumentando la popolazione, cresce anche la domanda di elettricità ma abbiamo anche bisogno di ridurre il nostro consumo di energia elettrica per la lotta contro il riscaldamento globale. Smart Grid significa soprattutto efficienza energetica. Il mondo consuma 14 terawatts di energia ogni giorno. Fra 50 anni avremo bisogno di 28 terawatts. Dove troveremo gli altri 14? Dovremmo attivare un nuovo impianto da 1.000 megawatt di potenza al giorno, poi un altro il giorno successivo e così via per i prossimi 40 anni, in questo modo otterremo gli altri 14 terawatts che ci mancano. Ma Jesse Berst spiega che per funzionare, diffondersi ed espandersi la Smart Grid necessita di 3 fattori fondamentali:
1. Standard aperti e inter-operabili, proprio come Internet.
2. Modelli di costi dinamici e corretti.
3. Corrette politiche di governo.

Fonte:www.genitronsviluppo.com

CONSENSUS del 4/1/2010 su utili delle società del FTSE Mib, stime al 31 dicembre 2009 e al 31 dicembre 2010

Nella tabella sono riportate le stime tra gli addetti ai lavori sul risultato del 2009 e le previsioni del 2010 per le 40 società che compongono il paniere dell’indice FTSE Mib. Per renderle più leggibili e “comprensibili” del loro peso ho ricavato le differenze, in valore assoluto e in percentuale, sia dell’Earning Per Share che del Dividendo. In rosa le variazioni percentuali negative rispetto al Consensus del 28 dicembre 2009, in azzurro quelle positive.

Sfide del nuovo millennio alla politica energetica italiana: Intervista a Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia

Guerre e crisi di inizio millennio hanno messo prepotentemente sul tavolo delle grandi potenze economiche il tema dell’energia. Le esigenze improrogabili di approvvigionamento dei paesi emergenti e la ricerca di soluzioni nuove ed ecocompatibili in Occidente pongono sfide inedite in un panorama sempre più instabile dominato da prezzi del petrolio ormai fuori controllo. L’Italia è travagliata da una storica carenza di materie prime, da una eccessiva dipendenza dall’estero per le importazioni, dal paradosso di una tecnologia all’avanguardia e di un sistema ancora ingolfato e “fragile”: in questo contesto cerca di impostare una nuova politica dell’energia. Fra mille difficoltà. Ne parliamo con Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia.


Un discorso sull’energia in Italia non può prescindere dal tema del gas: se ci limitiamo alla produzione di energia elettrica, copre da solo più del 54% della produzione nazionale. Ci serve per l’elettricità e per il riscaldamento, ma l’altalena dei prezzi del greggio lo condiziona e ci rende troppo esposti alle speculazioni, come rilevato di recente anche dall’Autorità per l’Energia. Certo stiamo costruendo il South Stream con Gazprom e diversi rigassificatori: importiamo da decenni da Libia e Algeria, ma qualche dubbio rimane sulla nostra sicurezza energetica. Lei cosa ne pensa?
È un dato storico. La rinuncia al nucleare a fine anni ’80 ci ha costretto a puntare tutto, o quasi, sul gas; però oggi stiamo gradualmente diversificando i nostri fornitori esteri. Senza considerare che paesi come la Russia, l’Algeria o la Libia negli scorsi decenni si sono dimostrati in realtà estremamente affidabili. Questo anche perché hanno più bisogno loro di esportare, che noi di importare, anche solo per mere questioni di reddito.

Dopo la rivoluzione arancione e il contrasto tra Russia e Ucraina però si è deciso di aggirare Kiev con il Nord Stream sul versante tedesco e il progetto europeo Nabucco a Sud. In concorrenza con questi progetti l’Eni ha avviato la costruzione di South Stream con Gazprom: ora ne vorrebbe far parte anche la francese EdF che potrebbe far cadere le riserve tedesche e americane sul progetto o almeno metterle in un angolo. South Stream fa bene al ruolo dell’Italia in Europa?
Sicuramente sì e ci permette anche di portare a Bruxelles delle istanze fondamentali per il nostro Paese che non è sempre ben visto in Europa. Si crea forse qualche problema per Edison e per il suo progetto Itgi collegato alla Grecia, ma è un male minore a confronto.

Proprio a EdF ci riporta alla decisione del governo di tornare al nucleare. Si parla di quattro centrali da 4 miliardi ciascuna costruite dalla francese Areva per il tandem EdF-Enel. La tecnologia scelta è quella dell’Epr, che però ha creato diversi problemi: forti ritardi, lievitazione dei costi sia in Francia che in Finlandia, incidenti di diversa natura... Al momento, inoltre, non è ancora attivo nessun reattore di questo tipo. Intanto la Germania cerca di uscire, con molte difficoltà, dall’energia atomica. Facilmente prevedibili in Italia contestazioni e ritardi. Lei che ne pensa?
Quelli sulla nostra nuova stagione nucleare sono senz’altro dubbi legittimi e tutte le difficoltà legate allo sviluppo dell’Epr sono concrete, ma siamo sicuri che con l’AP1000 della Westinghouse avremmo meno difficoltà? Sicuramente no. Bisogna ricordare che la Francia fa centrali dagli anni ’60, che Areva ha una competenza e un’esperienza gigantesche in questo settore. Quanto all’uscita dal nucleare di paesi come la Germania voglio ricordare il caso di Tony Blair che in Gran Bretagna aveva proposto la stessa cosa: calcolò che gli sarebbe costato circa 90 miliardi di euro e fece un passo indietro. Ora in Gran Bretagna proprio i tedeschi di E.On e Rwe vogliono fare delle nuove centrali con la joint venture Horizon Nuclear Power. La Danimarca intanto sta rifacendo i propri impianti.

I prezzi crescenti dell’uranio, il costo della trasformazione in carburante, il costo degli impianti e dello stoccaggio delle scorie, i problemi di sicurezza creano, però, grossi problemi a tutti gli operatori del settore. Conviene così tanto il nucleare? Quanto pesa poi il fatto che il nucleare non produca, o quasi, anidride carbonica in un periodo in cui i vincoli del Protocollo di Tokyo puniscono duramente chi emette CO2?
In realtà, da un punto di vista economico, se si considera tutto il ciclo, il nucleare non è poi così conveniente rispetto alle altre forme di energia. Anche perché, fatta una centrale, bisogna essere certi di vendere l’elettricità prodotta. Il vero grande vantaggio del nucleare è proprio l'assenza di emissioni di anidride carbonica rilasciate nell’ambiente. È questo il fattore che in prospettiva fa la differenza.

Fonte: www.borsaitaliana.it

Elenco dei termini più cercati su Google nel 2009

Come di consueto Google ogni anno rilascia l’elenco dei termini di ricerca più utilizzati dagli utenti del motore di ricerca. Quest’anno, in anticipo rispetto al passato, Google ha pubblicato la statistica con alcune novità: oltrer ai consueti temi d'intrattenimento figurano altri insiemi, come ad esempio la lista delle leggi e normative più ricercate dal cittadino, che intende tenersi aggiornato attraverso la rete. E’ interessante vedere questi dati quale specchio delle tendenze e delle aspettative della società italiana.



Storia e prospettive italiane nel fotovoltaico: Intervista a Nicolò Aste, Ricercatore del Dipartimento Best del Politecnico di Milano

In Italia l’energia prodotta nel 2008 dal fotovoltaico ha raggiunto i 192,9 GWh con una crescita di quasi il 400% sull’anno precedente. Se però si confrontano i dati con la produzione energetica generale di 307 mila Gigawattora del Bel Paese si comprende che l’energia solare rimane ancora meno che marginale. Altri paesi molto meno “soleggiati” del nostro riescono a raggiungere grandi risultati in questo campo: l’esempio più noto è senz’altro quello della Germania che da sola produce il 35% dell’energia solare mondiale. Ne parliamo con Niccolò Aste, ricercatore del Dipartimento Best del Politecnico di Milano, professore di Fisica Tecnica Ambientale presso le facoltà di Architettura e Ingegneria dell’ateneo, esperto di fonti rinnovabili e tecnologie sostenibili ed autore di diverse pubblicazioni scientifiche in materia.


C’è uno storico ritardo del fotovoltaico in Italia?
Sì, in passato sono mancate politiche coerenti di incentivazione del settore, anche se poi l’Italia ha dato un vero e proprio colpo di coda e adesso sta diventando forse il più interessante mercato d’Europa.

Quali sono le cause di questo ritardo? Tecnologie, costi, scelte politiche sbagliate?
Dal punto di vista tecnologico l’Italia non è mai stata in ritardo in questo settore, anzi l’Enel e altre istituzioni pubbliche hanno lavorato per tempo – e lavorano tutt’ora – ad alcune delle centrali più interessanti del mondo. Sicuramente hanno pesato in Italia dei fattori socio-culturali. I Tedeschi hanno un atteggiamento in qualche maniera “più sociale” del nostro e questo ha contribuito. Senza considerare che la questione economica è decisiva: se mi costa di meno comprare l’energia dalla rete che farla in casa, io italiano non investo. Però, attenzione, anche il fotovoltaico potrebbe diventare un prodotto di massa, già consente di produrre a un costo competitivo senza impatto ambientale. Solo che il mercato italiano al momento rifiuterebbe il sovrapprezzo ancora presente, se non fosse per degli incentivi pubblici.

In tutta Europa, però, lo sviluppo del settore è affidato a incentivi pubblici. Stessa cosa in Italia, ma con risultati minori e tardivi. Come mai?
Le scelte sono state simili, ma alcuni fattori hanno fatto la differenza. Lo schema è questo. Io all’inizio incoraggio il settore in conto capitale, ossia finanzio l’impianto a chi lo fa. In Germania si è arrivati a finanziare ¾ dell’impianto all’inizio degli anni ’90. L’Italia ha fatto cose simili (ma con un’organizzazione meno efficiente) solo a partire dal 2000-2001, quindi circa 10 anni dopo.
L’incentivo in conto capitale, primo passo fondamentale, serve principalmente a far diffondere gli impianti, a farli conoscere. Dopo un po’ i finanziamenti si disperdono o diventano insostenibili per lo Stato. Diventa strategico l’incentivo in conto energia. In pratica l’impianto ciascuno se lo fa da sé e l’incentivo è sull’energia prodotta che, oltre ad essere premiata con un contributo economico, può essere usata direttamente o venduta alla rete elettrica. Gli schemi attuali privilegiano soprattutto l’integrazione architettonica dei pannelli solari e i piccoli produttori, ma, in ultima analisi, sono convenienti anche per i grandi produttori che beneficiano di economie di scala.

In Italia?
Per la prima fase di incentivazione in conto capitale i risultati si possono definire soddisfacenti, ma l’andamento a singhiozzo dei finanziamenti ha reso piuttosto difficile l’effettivo consolidamento del mercato, lasciando aperti forti margini di indeterminatezza. Alcune irregolarità hanno dunque penalizzato soprattutto la realizzazione di impianti di grossa taglia. Il secondo finanziamento in conto energia è del febbraio 2007 funziona meglio. Facendo tesoro delle esperienze negative pregresse, si è resa necessaria l’effettiva realizzazione dell’impianto prima di ottenere il diritto all’incentivazione. In questo modo si sgombra il campo da derive speculative quali quelle verificatesi. Può apparire una regola un po’ dura, ma, per lo meno,evita le storture del passato.

Quanto ci vuole per ripagare un investimento?
In media meno di 7-8 anni e poi l’impianto dura più di 20. Per le applicazioni civili le faccio un conto semplice. Una famiglia media consuma circa 3.000 kWh/anno. Un impianto adatto costerà al massimo 15.000 euro. Io, però, ricevo per ogni chilowattora che produco 0,45 euro e ne risparmio 0,15 che sono quelli che spenderei con la bolletta normale. Quindi risparmio in tutto 60 centesimi che fanno 1.800 euro in un anno. In pratica in 7-8 anni di media ripago l’impianto, dopo comincio a guadagnare. Questo peraltro è un calcolo fatto per il Nord Italia, mentre nel Sud Italia dove l’energia media ricevuta dal Sole è maggiore i risparmi aumentano e si ammortizza un impianto prima.

Di recente alla tecnologia dei moduli fotovoltaici in silicio si è aggiunta quella delle pellicole a film sottile come quelle in tellurio-cadmio. Che differenza c’è fra i due tipi? E il solare termodinamico?
Attualmente, dal punto di vista economico-produttivo, a conti fatti le tecnologie al silicio cristallino o a film sottile si equivalgono. Il silicio cristallino rende di più, ma costa di più. Il film sottile costa meno, ma ha un’efficienza inferiore e occupa fino al doppio della superficie. Il solare termodinamico usa altri metodi e serve per grandi centrali, ma la sua efficienza dipende dalla nuvolosità. Può essere anche molto conveniente, a patto di installarlo in un contesto idoneo. Nel caso del fotovoltaico, la grid parity, ossia il pareggio del costo con quello che pago alla rete normalmente, senza necessitare di forme di incentivo, è stata individuata in 3 euro per watt. I grossi impianti arrivano ora ai 4 euro per watt, ma si noti che qualche anno fa erano a 6-7 euro per watt. Quindi c’è ancora da fare, ma molta strada è già stata fatta. Senza considerare che si tratta di forme di energia pregiata, perché non inquinante, e quindi non gravata da costi sociali e ambientali, di difficile determinazione nel caso delle fonti convenzionali, ma senza dubbio rilevanti.

Fonte: www.borsaitaliana.it

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Il Futuro Energetico Italiano: Intervista a Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia

Il futuro energetico italiano dovrà inevitabilmente fondarsi sul gas e sugli altri idrocarburi che copriranno per molti anni ancora non meno del 50% della produzione di energia elettrica. I nuovi piani del governo italiano prevedono anche che una fetta del 25% della nostra generazione provenga dal nucleare il resto dovrebbe essere ricavato da fonti rinnovabili. L'obiettivo si aggiunge a quello già fissato dall'Unione Europea che ha posto per il 2020 l'obiettivo di un 20% dei consumi prodotti da fonti rinnovabili e di un taglio del 20% nelle emissioni di anidride carbonica. Per quanto si tratti comunque di quote anche in prospettiva minoritarie della nostra produzione l'obiettivo appare comunque assai difficile e le sfide rimangono molteplici nei vari ambiti. Per valutare le difficoltà di una politica energetiva verde in Italia abbiamo intervistato il presidente e fondatore di Nomisma Energia Davide Tabarelli.


Il futuro ci impone le fonti di energia tradizionale ma ci propone anche le fonti rinnovabili. Le statistiche ci rivelano però che la maggior parte dell’energia di questo tipo in Italia è prodotta dalle vecchie centrali idroelettriche. Il resto, sia eolico che fotovoltaico, ha crescite brillanti, ma un peso quasi trascurabile nella nostra bilancia energetica. Il Governo si è però posto l’obiettivo di raggiungere una quota del 25% sulla nostra produzione, praticamente quanto il nucleare. Secondo lei è realistico?
Se anche ci limitassimo agli obiettivi europei del 20-20-20, ossia il 20% in meno di gas serra, il 20% in più di risparmio energetico e il 20% di consumo di fonti rinnovabili, questo significherebbe aggiungere 50 TWh, ossia raddoppiarle entro il 2020 a 100 TWh: secondo me, è irrealistico. Si può fare certamente di più, ma non moltissimo. C’è anche un problema fisico che deriva dal fatto che siamo abituati da millenni a consumare fonti energetiche a densità energetica sempre maggiore, dovremmo porci il problema ben prima di finire gli idrocarburi e l’uranio. La vera rivoluzione da fare è nei modelli di consumo, nell’efficienza energetica, nella lotta agli sprechi: bisognerebbe che tutti ci comportassimo in maniera molto diversa.

Eppure qualche risultato gli incentivi governativi all’efficienza energetica (la copertura del 55% dei costi sostenuti da chi rende più efficiente la propria abitazione per esempio) lo hanno raggiunto. Una risorsa come l’idroelettrico forse ha ancora qualcosa da dire. Gli incentivi poi stanno facendo qualcosa sebbene qui abbiamo cominciato 10 anni dopo la Germania e con mille contraddizioni.
Guardi gli incentivi all’efficienza sono gocce, o al massimo barili, nel mare. L’unica cosa che realmente farà scendere bruscamente i nostri consumi quest’anno è una crisi che ha congelato la domanda: avremmo preferito qualcos’altro. L’idroelettrico? Un lago come quello del Vajont oggi è inimmaginabile, persino il mini-idroelettrico incontra grandi opposizioni da parte degli ambientalisti e rimane al palo. Quanto agli incentivi siamo nel paradosso di avere i più alti del mondo con le maggiori difficoltà a realizzare gli impianti.

Un’ultima domanda: una cosa buona e una cattiva che l’attuale governo ha fatto in questo settore.
Secondo me, la decisione di tornare all’energia nucleare può essere giudicata in maniera ambivalente. Questo governo ha dimostrato in questo campo audacia e decisione. Dopo la bocciatura dell’atomo nel 1987 abbiamo speso 50 miliardi di euro per uscirne e ora ne spenderemo 20 per rientrare, tuttavia con i limiti del protocollo di Kyoto si tratta di una soluzione molto concreta. L’errore è stato quello di non coinvolgere a sufficienza la popolazione e il Parlamento in un dibattito sull'argomento.

Fonte: www.borsaitaliana.it
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Fonti rinnovabili: il Boom borsistico di inizio 2010

Giornata memorabile il 6 gennaio per i titoli delle società attive nella produzione di energia da fonti rinnovabili,  specie nel fotovoltaico. In particolare evidenza i forti acquisti su TerniEnergia (TER.MI), in rialzo di oltre il 50% complessivo nelle prime tre sedute del nuovo anno.
Alle 16,00 diversi titoli sono in asta di volatilità: Ergycapital (ECA.MI) segna un teorico di 0,63 euro pari a un balzo del 21,5%; TerniEnergia si attesta a 2,59 euro con un rialzo teorico del 19,9%; K.R. Energy (KRE.MI) + 17,6% a 0,18 euro; Pramac (PRA.MI) +11,88% a 1,14 euro. Rialzo più contenuto per Erg Renew (EGR.MI) che segna un +2,8% a 0,68 euro.
Alla base del rialzo il forte interesse del mercato verso le società che operano in questo settore, alla luce dell'ulteriore possibile sviluppo delle installazioni di pannelli solari e non solo. In Italia la provenienza di energia da fonti rinnovabili si aggira intorno al 16,5% a fronte dell'obiettivo del 22% fissato quest'anno nel mix produttivo. C'è pertanto un gap da colmare sopprattutto con l'eolico e con il fotovoltaico.

Ma volendo fare una panoramica generale delle società italiane quotate coinvolte, direttamente o indirettamente e a vario titolo, “nell’ affare” fonti rinnovabili si scoprono nomi anche “insospettabili”. Eccone un elenco che non vuole essere né esaustivo né definitivo ma solo indicativo:

Tra le grandi Società:

ACEA
A2A
ACTELIOS
ATLANTIA
CIR
EDISON
ENEL
ENI
GEMINA
IMPREGILO
MAIRE TECNIMONT
PIRELLI & C.
SARAS
TERNA

Tra le piccole Società:

ACEGAS APS
ALERION CLEANPOWER
CAMFIN
EEMS
ENERTAD
ENIA
ERG RENEW
ERGYCAPITAL
GREENVISION
HERA
INTEK
IRIDE
K.R.ENERGY
KERSELF
KINEXIA
KME GROUP
MEDITERRANEA DELLE ACQUE
PERMASTEELISA
PRAMAC
REALTY VAILOG
SADI SERVIZI INDUSTR
SOCOTHERM
SORGENIA
TERNIENERGIA
UNI LAND

Previsioni borsistiche per il 2010

Per poter capire dove andrà la Borsa proviamo a fare un consuntivo di quello che ha fatto fino adesso esaminando il grafico a 5 anni. Dal massimo toccato il 18 maggio 2007 a 44.364 punti l’indice, a seguito della crisi dei mutui subprime, è sprofondato del 72,2% toccando il suo minimo il 9 marzo 2009 a 12.332 punti. Da quel minimo è risalito, durante l’anno appena trascorso, dell’88,5% chiudendo il 2009 a 23.248,39 punti. Da questo punto avrebbe bisogno di risalire del 90,8% per poter ritoccare quel record assoluto a 44.364; e i record si sa sono fatti per essere battuti.
Resta da vedere come e quando questo avverrà.

Iniziamo dal come:
- innanzi tutto non dovranno esserci nuove crisi finanziarie(tipo subprime, Dubai, Grecia ecc.)
- non dovranno esserci nuove guerre
- non dovranno esserci fiammate inflazionistiche con conseguente rialzo dei tassi d’interesse
- i consumi dovranno riprendere
ce n'è già abbastanza per passare al quando.

Attualmente abbiamo:
- la crisi dei mutui subprime sembra passata, le banche americane hanno già iniziato a restituire i soldi prestati dal governo. Anche la crisi in Dubai per il momento sembra scongiurata, così dicasi per quella greca;
- la forte opposizione interna al regime iraniano lo dovrebbe far desistere dallo spingere sull’acceleratore della bomba atomica scongiurando per ora (?) un intervento militare (ma il Premio Nobel per la Pace ha già preparato il dossier Yemen);
- L’inflazione (dicono) è sotto controllo, grazie (purtroppo) alla forte disoccupazione in tutto il mondo.
- La valutazione dei titoli azionari è ancora attraente, visto il 90% che ancora la separa dal massimo assoluto
- In giro per il Mondo c’è un’enorme liquidità che non sa dove allocarsi, vista la scarsa attrattiva delle obbligazioni per il rischio inflazione. In particolare in Italia ci sono i capitali rientrati con lo scudo fiscale che più che una risorsa sono un pericolo (visto la bolla speculativa immobiliare che hanno scatenato nel 2004)
- Lo scenario macroeconomico resta indubbiamente complicato ma in progressivo miglioramento


Quindi…se tutto rimane così, ci sono le premesse per un 2010 impostato al bello, pregando che il tutto si sviluppi con moderazione e lenta progressione, voglio dire senza fiammate rialziste che inevitabilmente si pagano.

In tal senso la Borsa italiana è quella impostata meglio delle altre, che nell’ultimo periodo hanno aumentato il passo preparando la prossima caduta.

Guardando i grafici a 5 anni della Borsa di Milano e del Dow Jones si vede come le differenze con la media mobile più lenta (50 giorni) siano notevoli.
Quella della Borsa italiana passa a 20038 punti, il 13,8% in meno del valore al 1/1/2010, mentre la media a 50 del DJ passa a 8877, il 14,87%; in meno.
Un sano movimento laterale o piccolo ritracciamento gioverebbe ad entrambe, gettando le basi per una radiosa primavera, suddette premesse permettendo.
Se poi tutto questo porterà a ritoccare i massimi assoluti già nel 2010 è presto per dirlo. Certo è che il DJ, dagli attuali livelli (10.428), deve crescere solo il 35,82% per eguagliare il massimo assoluto toccato il 9 ottobre 2007 a 14.164 punti. Ben diverso dal 90,8% necessario al nostro FTSE Mib. E se ritocca i massimi il DJ tutto il mondo gli va appresso.


A noi non rimane che tendere l’orecchio a quello che accade oltreoceano, pregando che il consumo dei popcorn aumenti, come del succo d’arancia o dei panini di Mac Donald; snocciolando giaculatorie affinché l’uomo medio americano cambi l’auto, casa, e magari si faccia anche la barca; che le casalinghe americane siano sempre meno disperate ma finalmente felici e appagate, ricominciando a fare shopping senza limiti dopo 2 interminabili anni di struggente carestia e facendo crescere finalmente quegli indici di soddisfazione tanto cari a Wall Street. Amen