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Storia e prospettive italiane nel fotovoltaico: Intervista a Nicolò Aste, Ricercatore del Dipartimento Best del Politecnico di Milano

In Italia l’energia prodotta nel 2008 dal fotovoltaico ha raggiunto i 192,9 GWh con una crescita di quasi il 400% sull’anno precedente. Se però si confrontano i dati con la produzione energetica generale di 307 mila Gigawattora del Bel Paese si comprende che l’energia solare rimane ancora meno che marginale. Altri paesi molto meno “soleggiati” del nostro riescono a raggiungere grandi risultati in questo campo: l’esempio più noto è senz’altro quello della Germania che da sola produce il 35% dell’energia solare mondiale. Ne parliamo con Niccolò Aste, ricercatore del Dipartimento Best del Politecnico di Milano, professore di Fisica Tecnica Ambientale presso le facoltà di Architettura e Ingegneria dell’ateneo, esperto di fonti rinnovabili e tecnologie sostenibili ed autore di diverse pubblicazioni scientifiche in materia.


C’è uno storico ritardo del fotovoltaico in Italia?
Sì, in passato sono mancate politiche coerenti di incentivazione del settore, anche se poi l’Italia ha dato un vero e proprio colpo di coda e adesso sta diventando forse il più interessante mercato d’Europa.

Quali sono le cause di questo ritardo? Tecnologie, costi, scelte politiche sbagliate?
Dal punto di vista tecnologico l’Italia non è mai stata in ritardo in questo settore, anzi l’Enel e altre istituzioni pubbliche hanno lavorato per tempo – e lavorano tutt’ora – ad alcune delle centrali più interessanti del mondo. Sicuramente hanno pesato in Italia dei fattori socio-culturali. I Tedeschi hanno un atteggiamento in qualche maniera “più sociale” del nostro e questo ha contribuito. Senza considerare che la questione economica è decisiva: se mi costa di meno comprare l’energia dalla rete che farla in casa, io italiano non investo. Però, attenzione, anche il fotovoltaico potrebbe diventare un prodotto di massa, già consente di produrre a un costo competitivo senza impatto ambientale. Solo che il mercato italiano al momento rifiuterebbe il sovrapprezzo ancora presente, se non fosse per degli incentivi pubblici.

In tutta Europa, però, lo sviluppo del settore è affidato a incentivi pubblici. Stessa cosa in Italia, ma con risultati minori e tardivi. Come mai?
Le scelte sono state simili, ma alcuni fattori hanno fatto la differenza. Lo schema è questo. Io all’inizio incoraggio il settore in conto capitale, ossia finanzio l’impianto a chi lo fa. In Germania si è arrivati a finanziare ¾ dell’impianto all’inizio degli anni ’90. L’Italia ha fatto cose simili (ma con un’organizzazione meno efficiente) solo a partire dal 2000-2001, quindi circa 10 anni dopo.
L’incentivo in conto capitale, primo passo fondamentale, serve principalmente a far diffondere gli impianti, a farli conoscere. Dopo un po’ i finanziamenti si disperdono o diventano insostenibili per lo Stato. Diventa strategico l’incentivo in conto energia. In pratica l’impianto ciascuno se lo fa da sé e l’incentivo è sull’energia prodotta che, oltre ad essere premiata con un contributo economico, può essere usata direttamente o venduta alla rete elettrica. Gli schemi attuali privilegiano soprattutto l’integrazione architettonica dei pannelli solari e i piccoli produttori, ma, in ultima analisi, sono convenienti anche per i grandi produttori che beneficiano di economie di scala.

In Italia?
Per la prima fase di incentivazione in conto capitale i risultati si possono definire soddisfacenti, ma l’andamento a singhiozzo dei finanziamenti ha reso piuttosto difficile l’effettivo consolidamento del mercato, lasciando aperti forti margini di indeterminatezza. Alcune irregolarità hanno dunque penalizzato soprattutto la realizzazione di impianti di grossa taglia. Il secondo finanziamento in conto energia è del febbraio 2007 funziona meglio. Facendo tesoro delle esperienze negative pregresse, si è resa necessaria l’effettiva realizzazione dell’impianto prima di ottenere il diritto all’incentivazione. In questo modo si sgombra il campo da derive speculative quali quelle verificatesi. Può apparire una regola un po’ dura, ma, per lo meno,evita le storture del passato.

Quanto ci vuole per ripagare un investimento?
In media meno di 7-8 anni e poi l’impianto dura più di 20. Per le applicazioni civili le faccio un conto semplice. Una famiglia media consuma circa 3.000 kWh/anno. Un impianto adatto costerà al massimo 15.000 euro. Io, però, ricevo per ogni chilowattora che produco 0,45 euro e ne risparmio 0,15 che sono quelli che spenderei con la bolletta normale. Quindi risparmio in tutto 60 centesimi che fanno 1.800 euro in un anno. In pratica in 7-8 anni di media ripago l’impianto, dopo comincio a guadagnare. Questo peraltro è un calcolo fatto per il Nord Italia, mentre nel Sud Italia dove l’energia media ricevuta dal Sole è maggiore i risparmi aumentano e si ammortizza un impianto prima.

Di recente alla tecnologia dei moduli fotovoltaici in silicio si è aggiunta quella delle pellicole a film sottile come quelle in tellurio-cadmio. Che differenza c’è fra i due tipi? E il solare termodinamico?
Attualmente, dal punto di vista economico-produttivo, a conti fatti le tecnologie al silicio cristallino o a film sottile si equivalgono. Il silicio cristallino rende di più, ma costa di più. Il film sottile costa meno, ma ha un’efficienza inferiore e occupa fino al doppio della superficie. Il solare termodinamico usa altri metodi e serve per grandi centrali, ma la sua efficienza dipende dalla nuvolosità. Può essere anche molto conveniente, a patto di installarlo in un contesto idoneo. Nel caso del fotovoltaico, la grid parity, ossia il pareggio del costo con quello che pago alla rete normalmente, senza necessitare di forme di incentivo, è stata individuata in 3 euro per watt. I grossi impianti arrivano ora ai 4 euro per watt, ma si noti che qualche anno fa erano a 6-7 euro per watt. Quindi c’è ancora da fare, ma molta strada è già stata fatta. Senza considerare che si tratta di forme di energia pregiata, perché non inquinante, e quindi non gravata da costi sociali e ambientali, di difficile determinazione nel caso delle fonti convenzionali, ma senza dubbio rilevanti.

Fonte: www.borsaitaliana.it

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