Ottime notizie per Exor (EXO.MI), la holding della famiglia Agnelli. Dopo l'inatteso dividendo di Fiat (Exor possiede il 30% del capitale ordinario), arriva anche l'extra cedola da Banca Leonardo, di cui Exor possiede il 9,5%.
La banca guidata da Gerardo Bragiotti ha annunciato dividendi per 280 milioni di euro. Exor incasserà 26,9 milioni. Sommando i 70 milioni di euro in arrivo dalla cedola di Fiat, Exor riceverà fra pochi mesi liquidità per 96,9 milioni di euro: una cifra decisamente maggiore rispetto agli 84 milioni di dividendi che la stessa Exor aveva distribuito ai suoi azionisti l'anno scorso.
In una nota inviata ai propri clienti, Mediobanca spiega che una cedola pari a quella dell'anno passato significa un rendimento del 2,6% per le azioni ordinarie e di oltre il 5% per le risparmio e le privilegiate.
Nel weekend sono arrivate buone notizie dalla controllata Alpitour che ha chiuso l'anno con un utile di 4,1 milioni di euro, superiore ai 3 milioni attesi dagli analisti.
Secondo la valutazione di un analista, Exor ha in pancia attività, al netto dei debiti, per 5,33 miliardi di euro, quando in Borsa capitalizza solo 2,48 miliardi. Il titolo dunque è a sconto del 53% sulla somma delle sue parti (Nav).
In particolare la partecipazione di gran lunga più importante della holding Agnelli è il 30% di Fiat che a prezzo di Borsa vale 3,233 miliardi di euro, ovvero il 60% di tutto il portafoglio della holding. Valutare Fiat al prezzo di Borsa vuol dire già applicargli uno sconto. "Il Lingotto infatti quota al 35% di sconto della somma delle sue parti", spiega un analista.
Dopo Fiat, la seconda partecipazione per importanza di Exor è il 15% della svizzera Sgs (ai prezzi di Borsa vale 1 miliardo di euro), società specializzata in certificazione e consulenza aziendale, che da sola pesa per il 20,4% del Nav.
Tra le altre attività quotate troviamo il 60% della Juventus (JUVE.MI), che vale 106,2 milioni di euro (il 2% del Nav), lo 0,6% di IntesaSanpaolo (ISP.MI), pari a 194 milioni di euro (il 3,6% del Nav), e il 26% di Sequana, holding francese che vale 392 milioni di euro (1,9% del Nav).
A questa lunga lista di partecipazioni in società quotate, si aggiungono quelle in società non quotate. Ad esempio, non è quotata Cushman & Wakefield, società americana di servizi immobiliari di cui Exor possiede il 71,8%, quota valutata 461 milioni di euro (8,6% del Nav).
L'elenco comprende il 100% di Alpitour (0,9% del Nav), il 9,7% di Banca Leonardo (1,5% del Nav) e ancoraVision Investment Management, Banjay Capital Entertainment, Noco, Soyem, Perella Weinberg che insieme pesano per il 2,8% del Nav.
Sommando le attività quotate e quelle non quotate, si arriva ad un valore di 5,83 miliardi di euro, ovvero il 53% in più di quanto quota oggi Exor in Borsa. "Storicamente lo sconto è sempre stato vicino al 30%", spiega un analista.
Stamattina in una nota inviataai propri clienti Mediobanca spiegava che applicando uno sconto del 40%, Exor in Borsa dovrebbe valere almeno 14 euro ovvero il 18% di più rispetto alle attuali quotazioni.
Le quotazioni di Exor potrebbero migliorare in futuro se la Fiat si deciderà a varare lo scorporo del settore Auto, un'operazione che dovrebbe ridurre lo sconto valutativo di cui soffre la stessa Fiat, e a monte anche quello di Exor. Ma la decisione non è dietro l'angolo: "Credo che prima la Fiat punterà a incrementare la propria partecipazione in Chrysler, dunque di scorporo non si parlerà prima di metà 2011", precisa un analista.
fonte: www.websim.it
Tremonti: Basilea 3 è "via diretta per credit crunch"
Se i nuovi criteri contabili sulla patrimonializzazione delle banche di Basilea 3 venissero effettivamente approvati ed applicati ci sarebbe il rischio di una nuova stretta del credito.
E' questo il nuovo attacco che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha lanciato oggi, nel corso del suo intervento al convegno dell'Ispi, ai banchieri centrali che stanno rivedendo i criteri per la concessione del credito da parte degli istituti di credito.
"Basilea 3 è la via diretta per produrre, là dove viene applicata, il credit crunch", ha detto il ministro.
Per quanto riguarda il ruolo di banche e governi nella formulazione di nuove regole per i mercati finanziari, Tremonti ha ripetuto -- come aveva già fatto sabato scorso a Sestola -- le sue critiche al fatto che le nuove regole vengano preparate dai supervisori del credito piuttosto che dal mondo della politica: "Ho l'impressione che i banchieri locali o centrali facciano qualcosa che non è nel loro mestiere e che i governi non facciano qualcosa che è nel loro dovere".
"E' rischioso pensare che la prossima crisi si eviti con la tecnica", ha poi concluso ripetendo la sua critica nei confronti dei banchieri centrali e delle riflessioni che sul tema si sono tenute nei giorni scorsi a Davos.
Il ministro ha messo anche una buona parola sull'Europa uscita più unita e forte dalla crisi: "Io credo che si vada verso qualcosa di più della somma di singoli di Stati", aggiungendo che "dopo l'Erasmus sarebbe fantastico avere una squadra di calcio comune" in Europa.
fonte:Reuters
E' questo il nuovo attacco che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha lanciato oggi, nel corso del suo intervento al convegno dell'Ispi, ai banchieri centrali che stanno rivedendo i criteri per la concessione del credito da parte degli istituti di credito.
"Basilea 3 è la via diretta per produrre, là dove viene applicata, il credit crunch", ha detto il ministro.
Per quanto riguarda il ruolo di banche e governi nella formulazione di nuove regole per i mercati finanziari, Tremonti ha ripetuto -- come aveva già fatto sabato scorso a Sestola -- le sue critiche al fatto che le nuove regole vengano preparate dai supervisori del credito piuttosto che dal mondo della politica: "Ho l'impressione che i banchieri locali o centrali facciano qualcosa che non è nel loro mestiere e che i governi non facciano qualcosa che è nel loro dovere".
"E' rischioso pensare che la prossima crisi si eviti con la tecnica", ha poi concluso ripetendo la sua critica nei confronti dei banchieri centrali e delle riflessioni che sul tema si sono tenute nei giorni scorsi a Davos.
Il ministro ha messo anche una buona parola sull'Europa uscita più unita e forte dalla crisi: "Io credo che si vada verso qualcosa di più della somma di singoli di Stati", aggiungendo che "dopo l'Erasmus sarebbe fantastico avere una squadra di calcio comune" in Europa.
fonte:Reuters
Maggiore tutela per gli investitori retail emotivi
Uno studio Consob spiega perchè i regolatori dovrebbero tener conto della finanza comportamentale.
Il piccolo risparmiatore medio si comporta in maniera emotiva e per meglio tutelarlo occorre anche capirne la psicologia e la componente irrazionale. Per esempio, quando sceglie il "fai-da-te" si sente un trader professionista, ma in realtà se deve leggere lunghi report o complessi documenti si fa prendere dalla pigrizia. Come la maggior parte degli esseri umani davanti a problemi complessi, applica regole approssimative, semplifica e si fa guidare da intuizioni ed emozioni.
Questa è, in sostanza, la tesi del recente Quaderno di Finanza della Consob, a cura di Nadia Linciano, dal titolo "Errori cognitivi e instabilità delle scelte d'investimento dei risparmiatori retail. Le indicazioni di policy della finanza comportamentale".
La ricerca dimostra come "gli investitori commettono sistematicamente errori, di ragionamento e di preferenze, difficilmente conciliabili con l'assunto di razionalità delle scelte". Infatti, la teoria finanziaria classica ipotizza che gli individui siano perfettamente razionali e agiscano utilizzando campi informativi completi e omogenei. Per lungo tempo, essa è stata impiegata per trarre implicazioni sul piano non solo normativo ma anche descrittivo.
Il problema principale, dunque, è che la teoria finanziaria (su cui si basa anche la regolamentazione) non prende in considerazione una serie di fattori, che nella realtà sono invece molto importanti. Per esempio, uno degli aspetti centrali di ogni decisione finanziaria riguarda il rapporto rischio-rendimento. Ebbene, le teorie finanziarie classiche concepiscono sia rischio che rendimento in maniera diversa dai comuni investitori. Inoltre, secondo il Quaderno, l'esperienza di questi anni mostra che il piccolo risparmiatore (e in alcuni casi anche i gestori professionisti) non segue gli schemi dell'analisi economica classica, ma si basa su schemi più personali. Tende quindi a comprare i titoli di aziende che conosce, senza però avere una visione dei dati di bilancio, magari perchè ne compra i prodotti.
Perciò, conclude la ricerca, sarebbe necessaria l'applicazione di alcuni concetti di finanza comportamentale da parte dei regolatori, per tutulare meglio gli investitori dai loro stessi errori. A questo proposito, la Linciano individua nel servizio di consulenza e nell'educazione finanziaria i due strumenti attraverso i quali poter ridurre il divario tra le scelte osservate e quelle ottimali secondo la teoria classica. Insomma, sarebbe meglio arrivare a individuare una scelta teoricamente non ottimale, ma fattibile dal punto di vista pratico, piuttosto che l'opposto.
fonte: Morningstar
Il piccolo risparmiatore medio si comporta in maniera emotiva e per meglio tutelarlo occorre anche capirne la psicologia e la componente irrazionale. Per esempio, quando sceglie il "fai-da-te" si sente un trader professionista, ma in realtà se deve leggere lunghi report o complessi documenti si fa prendere dalla pigrizia. Come la maggior parte degli esseri umani davanti a problemi complessi, applica regole approssimative, semplifica e si fa guidare da intuizioni ed emozioni.
Questa è, in sostanza, la tesi del recente Quaderno di Finanza della Consob, a cura di Nadia Linciano, dal titolo "Errori cognitivi e instabilità delle scelte d'investimento dei risparmiatori retail. Le indicazioni di policy della finanza comportamentale".
La ricerca dimostra come "gli investitori commettono sistematicamente errori, di ragionamento e di preferenze, difficilmente conciliabili con l'assunto di razionalità delle scelte". Infatti, la teoria finanziaria classica ipotizza che gli individui siano perfettamente razionali e agiscano utilizzando campi informativi completi e omogenei. Per lungo tempo, essa è stata impiegata per trarre implicazioni sul piano non solo normativo ma anche descrittivo.
Il problema principale, dunque, è che la teoria finanziaria (su cui si basa anche la regolamentazione) non prende in considerazione una serie di fattori, che nella realtà sono invece molto importanti. Per esempio, uno degli aspetti centrali di ogni decisione finanziaria riguarda il rapporto rischio-rendimento. Ebbene, le teorie finanziarie classiche concepiscono sia rischio che rendimento in maniera diversa dai comuni investitori. Inoltre, secondo il Quaderno, l'esperienza di questi anni mostra che il piccolo risparmiatore (e in alcuni casi anche i gestori professionisti) non segue gli schemi dell'analisi economica classica, ma si basa su schemi più personali. Tende quindi a comprare i titoli di aziende che conosce, senza però avere una visione dei dati di bilancio, magari perchè ne compra i prodotti.
Perciò, conclude la ricerca, sarebbe necessaria l'applicazione di alcuni concetti di finanza comportamentale da parte dei regolatori, per tutulare meglio gli investitori dai loro stessi errori. A questo proposito, la Linciano individua nel servizio di consulenza e nell'educazione finanziaria i due strumenti attraverso i quali poter ridurre il divario tra le scelte osservate e quelle ottimali secondo la teoria classica. Insomma, sarebbe meglio arrivare a individuare una scelta teoricamente non ottimale, ma fattibile dal punto di vista pratico, piuttosto che l'opposto.
fonte: Morningstar
Marcegaglia, Ue Non Deve Farsi Imporre Regole Da Usa su Banche
In Europa ''serve una visione comune e unitaria'' sulla regulation finanziaria, ''perche' altrimenti c'e' il rischio di farsi imporre dagli Usa delle regole che vadano a vantaggio dei loro intermediari e delle loro banche''. E' il forte appello che la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia ha lanciato da Milano in occasione del suo intervento all'Ispi. La presidente degli industriali ha preso spunto dallo 'stato di salute' dell'Europa che a suo giudizio ''sta facendo scelte sbagliate'' come dimostra il non accordo di Copenhaghen sul clima. ''L'Europa - ha insistito la presidente di Confindustria - non capisce che il mondo e' cambiato profondamente, e che la sua centralita' globale non esiste piu'. Su certi grandi temi, come quello delle regole per la finanza, serve una visione comune e unitaria''. Perche' in caso contrario, ha ammonito la Marcegaglia prima di concludere, ''il rischio che rimarremo gli ultimi a uscire da questa crisi, e' un rischio reale''.
fonte ASCA
fonte ASCA
Marcegaglia: Delusione Per Obama Dovuta a Troppe Aspettative
''Oggi c'e' un alto tasso di delusione sulla politica di Barack Obama, anche perche' le aspettative erano elevatissime: da qualcuno era visto come un messia''. Questa l'analisi della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sullo ''stato di salute'' della presidenza di Barack Obama a oltre un anno dall'insediamento alla Casa Bianca del primo presidente di colore. Secondo la numero uno degli industriali, e' stata soprattutto la crisi a penalizzare il 46* presidente Usa: ''La crisi si e' estesa e l'atterraggio sui problemi concreti e' stato difficile''. La Marcegaglia si e' poi soffermata sugli stimoli e incentivi decisi da Obama a supporto di alcuni settori (come banche e auto) nelle fasi piu' acute della crisi: ''Quanto questi stimoli stiano producendo in termini di crescita economica, ancora non lo si vede anche se senza questi stimoli adesso non sapremo dove saremmo''. Certo e', ha proseguito la presidente di Viale dell'Astronomia, che Obama si trova a fronteggiare una serie di sfide decisive, a partire da piu' regole per la finanza: ''E' necessario mettere a punto una serie di regole per la finanza, ma e' altrettanto fondamentale - ha puntualizzato la Marcegaglia - che queste scelte non vengano dettate dal populismo, perche' il rischio e' che il loro impatto possa essere negativo''.
fonte: ASCA
fonte: ASCA
Continua sul web la rabbia cinese verso gli USA per vendita armi a Taiwan
Come prevedibile la decisione di Obama di vendere 6 Mld di dollari di armi a Taiwan sta scatenando una guerra, per il momento di parole e minacce, che può avere degli sviluppi incontrollabili e coinvolgenti l'intero pianeta.
(da Reuters) Gli utenti cinesi di Internet stanno esprimendo sul web tutto il loro disappunto per la decisione del presidente Usa Barack Obama di dare il via libera alla vendita di armi a Taiwan, alcuni proponendo il boicottaggio dei prodotti statunitensi, altri addirittura auspicando un intervento militare.
Taiwan, isola che la Cina ritiene parte integrante del suo territorio, è invece scampata all'ira dei cittadini cinesi, visto anche il miglioramento del rapporto tra le due parti da quando, nel 2008, Ma Ying-jeou è diventato presidente di Taiwan.
Gli Usa hanno riconosciuto, nel 1979, la politica dell'"unica Cina" adottata da Pechino, ma sono rimasti, e tutt'ora lo sono, il più importante partner di Taiwan, cui deve obbligatoriamente aiuto, in caso di attacco militare, in base al Taiwan Relations Act siglato proprio nel 1979.
Molti utenti hanno proposto il boicottaggio dei prodotti Usa, compresi i Boeing (BA.N) per recarsi negli Stati Uniti.
"Boicottiamo ogni tipo di prodotto americano", ha scritto un utente della provincia di Henan sul famoso portale www.sina.com.cn. "Niente più Kfc, niente McDonald's, e niente viaggi turistici negli Stati Uniti!".
"Cominciano una guerra. Prima simbolica, poi una vera guerra", ha aggiunto un altro utente. Ma altre persone hanno suggerito al governo cinese di vendere ancora più armi all'Iran e alla Corea del Nord, per bilanciare il potere americano.
"La Cina dovrebbe vendere, per vendetta, armi avanzate ai nemici degli Usa", si legge su un altro portale, www.sohu.com.
(da Reuters) Gli utenti cinesi di Internet stanno esprimendo sul web tutto il loro disappunto per la decisione del presidente Usa Barack Obama di dare il via libera alla vendita di armi a Taiwan, alcuni proponendo il boicottaggio dei prodotti statunitensi, altri addirittura auspicando un intervento militare.
Taiwan, isola che la Cina ritiene parte integrante del suo territorio, è invece scampata all'ira dei cittadini cinesi, visto anche il miglioramento del rapporto tra le due parti da quando, nel 2008, Ma Ying-jeou è diventato presidente di Taiwan.
Gli Usa hanno riconosciuto, nel 1979, la politica dell'"unica Cina" adottata da Pechino, ma sono rimasti, e tutt'ora lo sono, il più importante partner di Taiwan, cui deve obbligatoriamente aiuto, in caso di attacco militare, in base al Taiwan Relations Act siglato proprio nel 1979.
Molti utenti hanno proposto il boicottaggio dei prodotti Usa, compresi i Boeing (BA.N) per recarsi negli Stati Uniti.
"Boicottiamo ogni tipo di prodotto americano", ha scritto un utente della provincia di Henan sul famoso portale www.sina.com.cn. "Niente più Kfc, niente McDonald's, e niente viaggi turistici negli Stati Uniti!".
"Cominciano una guerra. Prima simbolica, poi una vera guerra", ha aggiunto un altro utente. Ma altre persone hanno suggerito al governo cinese di vendere ancora più armi all'Iran e alla Corea del Nord, per bilanciare il potere americano.
"La Cina dovrebbe vendere, per vendetta, armi avanzate ai nemici degli Usa", si legge su un altro portale, www.sohu.com.
Il caso Dubai World
La capogruppo di Nakheel, il colosso immobiliare impegnato nella costruzione delle “Palm Islands”
Il caso Dubai World
Lo scorso novembre la holding statale Dubai World aveva chiesto ai suoi creditori una moratoria di 6 mesi sulle proprie passività che ammontavano a 59 miliardi di dollari.
La notizia aveva pesato molto sull’andamento dei principali indici delle borse internazionali. Dubai World, infatti, è la capogruppo di Nakheel, il colosso immobiliare impegnato nella costruzione delle “Palm Islands”, detiene anche consistenti partecipazioni nei mercati azionari di tutto il mondo.
Dubai World, che rappresenta il cuore degli affari di Dubai, uno dei sette emirati che compongono gli Emirati arabi uniti, oltre alla moratoria di sei mesi sui propri debiti aveva anche provato a rinegoziare la sua posizione debitoria e un bond islamico della controllata Nakheel Properties.
L’aiuto di Abu Dhabi
Recentemente Abu Dhabi, la capitale degli Emirati ha fornito a Dubai World 10 miliardi di dollari che sono stati utilizzati dall’immobiliare Nakheel per rimborsare un bond per oltre 4 miliardi di dollari in scadenza.
La decisione di andare in soccorso della sorella minore non dovrebbe tuttavia costituire un caso isolato, in quanto il Ministro dell’economia degli Emirati arabi uniti, Sultan al-Mansouri ha lasciato intendere che Dubai World non sarà lasciata sola.
Infatti, nonostante la rivalità tra i due Emirati, gli istituti di credito di Abu Dhabi posseggono circa un terzo dei debiti di Dubai e hanno ogni interesse a non stare ad osservare a mani conserte.
Condanne più severe
I recenti accadimenti sembrano aver messo a dura prova l’emirato di Dubai che ha inasprito le condanne per frodi finanziarie (in particolare quelle sui fondi governativi) con lo scopo di meglio tutelare gli interessi di Dubai e dei suoi investitori.
Le nuove regole introducono pene detentive da 5 a 20 anni che però decadono in caso di restituzione delle somme illegittimamente sottratte.
Verso la ristrutturazione
Ora non resta che attendere la proposta di ristrutturazione della prima parte del debito con le banche, pari a 26 miliardi di dollari, prevista per metà gennaio.
Il piano di ristrutturazione di Dubai World coinvolge alcune delle sue società (tra cui Nakheel) e prevede alcuni importanti cambi al vertice. La proposta di ristrutturazione avanzata da Dubai World prevedrebbe inoltre la fusione di tre società di real estate (Dubai Properties, Sama Dubai e Tatweer).
Non dovrebbero invece essere ricomprese nel piano Istithmar World, Ports & Free Zone World e Infinity World Holding.
Tra i creditori del gruppo si contano 90 istituti di credito che avranno come compito quello di nominare un comitato di coordinamento mentre la società di revisione Deloitte si occuperà del mandato di rappresentanza di Dubai World.
fonte: Borsa Italiana
Il caso Dubai World
Lo scorso novembre la holding statale Dubai World aveva chiesto ai suoi creditori una moratoria di 6 mesi sulle proprie passività che ammontavano a 59 miliardi di dollari.
La notizia aveva pesato molto sull’andamento dei principali indici delle borse internazionali. Dubai World, infatti, è la capogruppo di Nakheel, il colosso immobiliare impegnato nella costruzione delle “Palm Islands”, detiene anche consistenti partecipazioni nei mercati azionari di tutto il mondo.
Dubai World, che rappresenta il cuore degli affari di Dubai, uno dei sette emirati che compongono gli Emirati arabi uniti, oltre alla moratoria di sei mesi sui propri debiti aveva anche provato a rinegoziare la sua posizione debitoria e un bond islamico della controllata Nakheel Properties.
L’aiuto di Abu Dhabi
Recentemente Abu Dhabi, la capitale degli Emirati ha fornito a Dubai World 10 miliardi di dollari che sono stati utilizzati dall’immobiliare Nakheel per rimborsare un bond per oltre 4 miliardi di dollari in scadenza.
La decisione di andare in soccorso della sorella minore non dovrebbe tuttavia costituire un caso isolato, in quanto il Ministro dell’economia degli Emirati arabi uniti, Sultan al-Mansouri ha lasciato intendere che Dubai World non sarà lasciata sola.
Infatti, nonostante la rivalità tra i due Emirati, gli istituti di credito di Abu Dhabi posseggono circa un terzo dei debiti di Dubai e hanno ogni interesse a non stare ad osservare a mani conserte.
Condanne più severe
I recenti accadimenti sembrano aver messo a dura prova l’emirato di Dubai che ha inasprito le condanne per frodi finanziarie (in particolare quelle sui fondi governativi) con lo scopo di meglio tutelare gli interessi di Dubai e dei suoi investitori.
Le nuove regole introducono pene detentive da 5 a 20 anni che però decadono in caso di restituzione delle somme illegittimamente sottratte.
Verso la ristrutturazione
Ora non resta che attendere la proposta di ristrutturazione della prima parte del debito con le banche, pari a 26 miliardi di dollari, prevista per metà gennaio.
Il piano di ristrutturazione di Dubai World coinvolge alcune delle sue società (tra cui Nakheel) e prevede alcuni importanti cambi al vertice. La proposta di ristrutturazione avanzata da Dubai World prevedrebbe inoltre la fusione di tre società di real estate (Dubai Properties, Sama Dubai e Tatweer).
Non dovrebbero invece essere ricomprese nel piano Istithmar World, Ports & Free Zone World e Infinity World Holding.
Tra i creditori del gruppo si contano 90 istituti di credito che avranno come compito quello di nominare un comitato di coordinamento mentre la società di revisione Deloitte si occuperà del mandato di rappresentanza di Dubai World.
fonte: Borsa Italiana
Operazioni di mercato aperto
Le acquisizioni e vendite di titoli di Stato effettuate in Borsa dalle banche centrali
Con il termine "operazioni di mercato aperto" ci si riferisce alle acquisizioni e vendite di titoli di Stato effettuate in Borsa dalle banche centrali.
Si parla nello specifico di operazioni di mercato aperto riferendosi a quelle messe in atto dalle banche centrali per ampliare o ridurre la base monetaria, dove con base monetaria ci si riferisce all'aggregato monetario che rappresenta lo stock di valuta (monete e banconote) e di depositi caratterizzati da diversi gradi di liquidità presenti in un sistema finanziario.
La base monetaria è data dal totale delle banconote e delle monete in circolazione sommate alle riserve (obbligatorie e facoltative) e ai depositi detenuti presso un sistema finanziario. Essa rappresenta una passività nel bilancio della banca centrale.
Attraverso le operazioni di mercato aperto la banca centrale acquista e vende titoli di Stato e così facendo inietta e ritira moneta dal sistema.
Il collocamento dei titoli di Stato avviene attraverso un'asta riservata a grandi investitori istuzionali che poi rivendono i titoli ai propri risparmiatori e ad altri soggetti economici.
Gli acquirenti (banche, imprese e piccoli risparmiatori) potranno poi rivendere i titoli sul mercato secondario di Borsa italiana.
L'acquisto o la vendita di titoli di Stato rappresenta il principale canale con cui una Banca centrale assolve al proprio compito istituzionale di regolare la quantità di moneta in circolazione.
Insieme alle operazioni attivabili su iniziativa delle controparti e alla riserva obbligatoria rappresenta uno degli strumenti a disposizione dell’Eurosistema per la conduzione della politica monetaria.
Come chiarisce infatti la Banca d'Italia le operazioni di mercato aperto hanno la funzione di immettere o drenare la liquidità. Può prendervi parte ogni istituzione creditizia residente nei paesi dell’Eurosistema in possesso dei necessari requisiti.
La Banca d’Italia esegue le operazioni di mercato aperto nei confronti delle banche presenti sul territorio nazionale attenendosi alle istruzioni impartite dalla BCE e alle regole e alle procedure comuni concordate all’interno dell’Eurosistema. Inoltre, come precisato dalla Banca stessa, è responsabile della gestione delle garanzie che stanno a fronte delle operazioni svolte e individua le attività finanziarie emesse in Italia che possono essere utilizzate come garanzia.
Le operazioni di mercato aperto rappresentano quindi uno dei modi con cui tecnicamente le banche centrali danno attuazione alla politica monetaria, a seguito di una decisione di alzare/abbassare i tassi.
Nello specifico il mercato aperto è rappresentato dalla banca centrale, dalle banche nazionali ed estere autorizzate dalla Banca Centrale ad operare sul territorio, e da alcune Sim. L'oggetto scambiato nelle operazioni di mercato aperto sono i titoli di Stato e lo scambio come già accennato avviene secondo procedure bilaterali tra ogni singola banca e la Banca Centrale, con aste mensili a tasso fisso oppure tramite aste settimanali a tasso variabile. Ogni asta è gestite dalla Banca Centrale, che stabilisce quali banche sono risultate aggiudicatarie dei titoli in base al regolamento applicato.
fonte: Borsa Italiana
Con il termine "operazioni di mercato aperto" ci si riferisce alle acquisizioni e vendite di titoli di Stato effettuate in Borsa dalle banche centrali.
Si parla nello specifico di operazioni di mercato aperto riferendosi a quelle messe in atto dalle banche centrali per ampliare o ridurre la base monetaria, dove con base monetaria ci si riferisce all'aggregato monetario che rappresenta lo stock di valuta (monete e banconote) e di depositi caratterizzati da diversi gradi di liquidità presenti in un sistema finanziario.
La base monetaria è data dal totale delle banconote e delle monete in circolazione sommate alle riserve (obbligatorie e facoltative) e ai depositi detenuti presso un sistema finanziario. Essa rappresenta una passività nel bilancio della banca centrale.
Attraverso le operazioni di mercato aperto la banca centrale acquista e vende titoli di Stato e così facendo inietta e ritira moneta dal sistema.
Il collocamento dei titoli di Stato avviene attraverso un'asta riservata a grandi investitori istuzionali che poi rivendono i titoli ai propri risparmiatori e ad altri soggetti economici.
Gli acquirenti (banche, imprese e piccoli risparmiatori) potranno poi rivendere i titoli sul mercato secondario di Borsa italiana.
L'acquisto o la vendita di titoli di Stato rappresenta il principale canale con cui una Banca centrale assolve al proprio compito istituzionale di regolare la quantità di moneta in circolazione.
Insieme alle operazioni attivabili su iniziativa delle controparti e alla riserva obbligatoria rappresenta uno degli strumenti a disposizione dell’Eurosistema per la conduzione della politica monetaria.
Come chiarisce infatti la Banca d'Italia le operazioni di mercato aperto hanno la funzione di immettere o drenare la liquidità. Può prendervi parte ogni istituzione creditizia residente nei paesi dell’Eurosistema in possesso dei necessari requisiti.
La Banca d’Italia esegue le operazioni di mercato aperto nei confronti delle banche presenti sul territorio nazionale attenendosi alle istruzioni impartite dalla BCE e alle regole e alle procedure comuni concordate all’interno dell’Eurosistema. Inoltre, come precisato dalla Banca stessa, è responsabile della gestione delle garanzie che stanno a fronte delle operazioni svolte e individua le attività finanziarie emesse in Italia che possono essere utilizzate come garanzia.
Le operazioni di mercato aperto rappresentano quindi uno dei modi con cui tecnicamente le banche centrali danno attuazione alla politica monetaria, a seguito di una decisione di alzare/abbassare i tassi.
Nello specifico il mercato aperto è rappresentato dalla banca centrale, dalle banche nazionali ed estere autorizzate dalla Banca Centrale ad operare sul territorio, e da alcune Sim. L'oggetto scambiato nelle operazioni di mercato aperto sono i titoli di Stato e lo scambio come già accennato avviene secondo procedure bilaterali tra ogni singola banca e la Banca Centrale, con aste mensili a tasso fisso oppure tramite aste settimanali a tasso variabile. Ogni asta è gestite dalla Banca Centrale, che stabilisce quali banche sono risultate aggiudicatarie dei titoli in base al regolamento applicato.
fonte: Borsa Italiana
Iscriviti a:
Post (Atom)