Il giorno dell’annuncio è stato scelto con l’abilità del grande comunicatore: giovedì 21 gennaio. In quella data Goldman Sachs ha presentato profitti per 13 miliardi di dollari, derivanti (per la maggior parte) da operazioni di trading. Nella stessa giornata – e mentre la conference call del colosso bancario con gli analisti era in corso - il presidente americano Barack Obama ha annunciato un piano per porre paletti all’attività degli istituti di credito.
Le proposte a cui sta lavorando la Casa bianca, che saranno contenute in un progetto più ampio di riforma del settore finanziario, vanno dal divieto di possedere e investire in hedge fund e società di private equity, all’impossibilità di fare il cosiddetto proprietary trading (operazioni di Borsa nelle quali si utilizzando i soldi depositati nei conti correnti). A questo si aggiungerebbero una serie di restrizioni sul fronte delle acquisizioni e sull’utilizzo della leva finanziaria. Le reazioni sulle piazze finanziarie non si sono fatte attendere. Nelle sedute di giovedì e venerdì scorso le banche americane hanno perso l’equivalente di 50 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato. In una settimana l’indice Msci globale del settore (calcolato in euro) si è lasciato per strada quasi il 5%.
Secondo gli operatori, la scelta del giorno della presentazione di Goldman per dare l’annuncio non è stata casuale. La banca, infatti, pur essendo uscita bene dalla crisi finanziaria non ha una buona reputazione presso l’opinione pubblica a causa della sua aggressività sui mercati. Senza contare che è proprietaria di hedge fund, da molti definiti fondi locusta. Il proprietary trading, inoltre, peserebbe per il 10% dei guadagni dell’istituto. Un esempio, insomma, di come i banchieri lavorino solo pere arricchire se stessi e i loro azionisti, a spese dei clienti. Un sospetto che l’amministratore delegato di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein non è riuscito a fugare nemmeno davanti alla commissione del Congresso Usa che sta investigando sulle cause della crisi finanziaria.
La prima a protestare contro le indicazioni di Obama è stata la Securities Industry and Financial Markets Association (una delle lobby più potenti di Wall Street), per bocca del suo rappresentante Tim Ryan. “Nei controlli sulle banche ci vuole flessibilità”, ha spiegato. “Solo in questo modo si possono mitigare gli effetti dei rischi del sistema. Arbitrarie restrizioni sulle strategie di crescita, non possono funzionare”.
Altri operatori sono meno preoccupati. “Quando si parla di provvedimenti di questo tipo bisogna distinguere fra quello che viene proposto e quello che poi effettivamente accadrà”, spiega in una nota Chris Costanza, analista azionario sugli Usa di Schroders. “In generale la miglior risposta che le banche possono dare a queste proposte, è il rafforzamento dei fondamentali. Un processo fattibile, visto che lo scenario macroeconomico, dal 2008, è migliorato”.
Le decisioni di Obama, secondo gli operatori, rischiano di condizionare lo scenario bancario anche in Europa. Poche ore dopo l’annuncio della riforma, il ministro ombra inglese del Tesoro, il conservatore George Osbourne, ha detto che se il suo partito vincerà le prossime elezioni, proporrà un progetto simile a quello americano. Per il ministro francese delle finanze Chistine Lagarde la scelta americana “è un bel passo nella giusta direzione”.
“Il timore degli investitori non è che il piano di Obama metta paletti alle banche straniere in territorio americano, quanto che azioni simili siano prese al di là dell’Atlantico”, conferma una nota di Morningstar. “E alla luce della sempre maggiore richiesta di regolamentazione che arriva dai cittadini e dagli esponenti politici, non è da escludere che questo avvenga. Insomma, dove va Obama, gli altri seguiranno. Quello che preoccupa il settore finanziario è non conoscere la direzione”.
fonte: Morningstar